Il «non possumus» di Bruxelles e le insofferenze di Visco

Carlo Torino

La politica dilatoria delle rigidità ideologiche assunte ad imperativo categorico per la Commissione, riesce nell'intento di ergere la figura del governatore a «Ecclesiaste» della flessibilità, a critico lucido del Bail-in. Ma il confronto si preannuncia serrato ... (Renzi plaude ...)

Non si può non notare un certo inasprimento nei toni, una sempre più evidente insofferenza verso le pregiudiziali del «rigore» imposteci da Bruxelles sulla «questione bancaria». E se il governatore Visco - per solito misurato nella sua consueta oratoria scabra e asciutta -, diligente e quasi puntiglioso in sede di enunciazione di risultati e cifre, lascia che un certo «animus» riaffiori, vuol dire che in concreto abbiamo veramente le mani legate.

Non di rado abbiamo attirato l’attenzione dei lettori sulle inammissibili lentezze di un’Authority europea per la concorrenza, che con la sua feticistica adorazione per i «tavoli inclusivi», per le analisi approfondite e dilatorie (salvo poi decidere con piglio totalitario), sta di fatto battendo in breccia quella coalizione nazionale di «responsabili» (dal Tesoro alla Banca d’Italia) la quale per il bene del Paese inclinerebbero per una soluzione in tempi rapidi.

Su questo, la posizione di Visco è ampiamente condivisibile. Il clima tra istituzioni nazionali ed europee è il medesimo – per fare un paragone storico – di quello delle «Guarentigie»: la Commissione decide unilateralmente sull’ammontare di capitale privato da reperire, e il governo reagisce con un accorato «Ubi nos», disconoscendone il merito; ma non potendone delegittimare – come dovrebbe – le decisioni, sceglie la terza via della trattativa e del coinvolgimento del Fondo interbancario di tutela per i depositi. No: neanche questo è concesso, da Bruxelles il «non possumus» è perentorio. Costituirebbe aiuto di Stato ai sensi della Brrd – ancorché il Fitd sia finanziato interamente con capitali privati -. Il veto è dunque inappellabile. Non ci resta che presentarci in Commissione con il cappello in mano a mendicare sconti al «direttorio». Verrebbe fatto a questo punto di riconoscere una buona volta che il segretario del Pd, Matteo Renzi, ha pienamente ragione; e sposare di riflesso la sua ideologia dei «gomiti larghi». La politica sterile dell’equidistanza e della mediazione ha fatto il suo corso, e se la classe politica non solleva unanime la sua voce di protesta alle incomprensibili pregiudiziali di scadente marca neoliberista della Commissione, la situazione potrebbe degenerare con le due banche messe in risoluzione.

Una parola, concludendo, sulle considerazioni di Visco in materia di conti pubblici. L’obiettivo di mantenere un avanzo primario (al lordo degli interessi sul debito) del 4 per cento, costituisce in tutta onestà un’indicazione che non ci sentiamo di condividere. Il sottinteso di politica economica rimanda ad un’austerità selvaggia, che in una fase di depressione economica (perché la ripresa è solo ciclica e non strutturale: si leggano i dati sull’occupazione) arrecherebbe un danno irreparabile alle prospettive di crescita. Usciamo da questa sorda ideologia del rigore intransigente, e guardiamo a politiche serie di crescita inclusiva.