Euporn - il lato sexy dell'europa

Ci voleva un'orgia per smascherare gli illiberali

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Questa pagina sulla forza dell’Europa è scritta dagli antieuropeisti ungheresi, dai brexitari che si prendono il vaccino europeo e da uno sceriffo di nome Vera

Ci sono giorni in cui la forza del progetto europeo – i suoi valori, la sua ispirazione di libertà, i suoi virtuosismi – si spiega da sola. Oggi è uno di quei giorni, e anzi è un giorno ancora più bello, perché il compito della spiegazione non spetta a noi europeisti prevedibili e miopi e decadenti, innamorati nostalgici di un’alleanza di nazioni unica al mondo. No, la spiegazione oggi è degli antieuropeisti. E’ di Boris Johnson, premier brexitaro inglese, che corre a comprare prima di tutti il vaccino anti Covid ideato nei laboratori tedeschi di Biontech (società guidata da due scienziati turchi che hanno “take back control” dell’innovazione contro la pandemia), pagato dai soldi tedeschi dell’europeista Angela Merkel e creato con gli americani di Pfzier (quegli americani che Donald Trump ha convocato minaccioso alla Casa Bianca perché vuole che ammettano che l’annuncio dei successi dei vaccini è stato fatto appositamente dopo l’Election day: il solito piagnisteo dei populisti e dei perdenti). La Brexit sarà anche cosa fatta, come ripete Johnson, ma meglio fare scorte del vaccino europeo (non britannico) prima che i camion-frigo vengano bloccati a Calais dalla Brexit (e costino di più, visto che l’accordo commerciale non c’è). La spiegazione della forza del progetto europeo e della sua chiacchieratissima European way of life è anche dell’Ungheria, che si trova senza József Szájer, eurodeputato di Fidesz, il partito del premier Viktor Orbán, dimessosi dopo aver partecipato a un’orgia con altri ventiquattro uomini al Detour di Bruxelles, bar gay della capitale europea – lusso europeo (l’orgia gay, non l’assembramento) che è fuori legge per la Costituzione ungherese (scritta anche dall’eurodeputato in questione: ve l’abbiamo detto che oggi è il giorno perfetto). E come se non bastasse, il successore di Szájer alla guida della delegazione ungherese presso il Partito popolare europeo, Tamás Deutsch, potrebbe essere espulso dal Ppe: ha paragonato le dichiarazioni del collega Manfred Weber sul rispetto dello stato di diritto agli slogan della Gestapo e a quelli della polizia segreta durante il comunismo (la decisione sarà presa il 9 dicembre). 

  

Detto semplice: i cantori della decadenza europea, quelli che considerano l’Ue al pari dell’Unione sovietica intollerante e liberticida, o hanno bisogno dell’Ue per cavarsela (come gli inglesi) o godono delle libertà europee che bandiscono a casa loro: come gli ungheresi, come anche i polacchi presenti all’orgia bruxellese  eppur così illiberali a casa loro al punto da creare “lgbt free zone”. Szájer ha lasciato Fidesz e il portavoce del governo, Zoltán Kovács, ha detto che “ciò che ha fatto il nostro rappresentante non ha posto nei valori della nostra famiglia politica”: i suoi trent’anni di lavoro non verranno dimenticati, ma quel che ha fatto “è inaccettabile” (l’orgia gay, non l’assembramento). E’ o non è il giorno perfetto quando a scrivere il manifesto liberal-libertino della European way of life sono quelli che considerano questo liberalismo il segno accecante e irrimediabile del declino europeo e occidentale?  E infatti i media ungheresi, che sono gestiti quasi tutti da un fedelissimo del premier Orbán, hanno  segnalato appena la notizia del loro eurodeputato libertino e hanno sottolineato che si è scusato “con la sua famiglia, con la sua comunità e con i suoi elettori”. I giornalisti temerari che ieri hanno provato a chiedere a Orbán che cosa pensasse del suo eurodeputato sono stati avvicinati dai poliziotti e allontanati. Perché il giorno perfetto per gli europeisti è comunque un giorno nero per chi vive sotto governi antieuropeisti (e comunque anche il ritorno a Budapest di Szájer non lo vediamo facilissimo, non solo perché ha una moglie che è giudice della Corte costituzionale ungherese: gli offriamo asilo politico, nel caso).

 


I cantori della decadenza europea o hanno bisogno dell’Ue per cavarsela (gli inglesi) o per godere delle libertà proibite in patria (gli ungheresi)


 

Due cose sui diritti in Ungheria. Oltre alla propaganda contro i diritti degli omosessuali e sulla famiglia tradizionale su cui Szájer è ben informato, in dieci anni l’orbanismo ha smontato  l’assetto democratico del paese. Il governo ha ormai il controllo sulla magistratura e sulla stampa: oltre cinquecento testate giornalistiche sono nelle mani di uomini vicini a Orbán. Anche il diritto all’istruzione è limitato, come dimostra il caso della Central european University costretta a trasferirsi a Vienna. Adesso l’esecutivo ha un nuovo progetto, una legge elettorale che limita la possibilità di formare delle coalizioni, ha paura di essere sconfitto alle prossime elezioni se tutti gli altri partiti dovessero unirsi.  

 

Due cose sui diritti in Polonia.  Quest’estate l’Ue ha deciso di non destinare i fondi del progetto Europe for Citizens a sei città polacche che si sono dichiarate zone lgbt free –“strefa wolna od lgbt”. Vuol dire che sul loro territorio non è possibile fare campagne a favore dei diritti di lesbiche,  gay, bisessuali e transgender. La decisione non rispetta le idee europee di libertà e uguaglianza e il bando del progetto  chiede che con i soldi vengano realizzate idee accessibili a tutti, senza discriminazioni. Così il governo ha reagito  sborsando di tasca proprio qualche soldo in più per le città incriminate e definite coraggiose per le loro posizioni.   Finora questo è rimasto a livello di propaganda, quel che è venuto ormai giù in Polonia è il sistema della magistratura. Questa battaglia ha il suo alfiere, il ministro della Giustizia, Zbigniew Ziobro, che è anche uno dei sostenitori delle nuove restrizioni sull’aborto. 

 

Il wannabe autocrate. La parabola politica dello sloveno Janez Janša è lunga, ha iniziato ai tempi del comunismo, quando era giovanissimo: era comunista ma venne espulso dai comunisti perché era pacifista. Poi fu uno dei politici a favore della guerra per l’indipendenza della sua nazione, poi divenne  socialdemocratico, poi liberale e infine nazionalista. Janša è stato primo ministro tre volte, non consecutive, e tutte e tre le volte era il rappresentante di un’idea diversa. Ovviamente  è stato anche molto europeista e quando la Slovenia ebbe la presidenza del semestre europeo, fu lodato più e più volte per la sua competenza. Nel mondo dell’illiberalismo, tra i duri di destra estrema anti immigrazione e nazionalisti, Janša ci è entrato in punta di piedi, innamorato non tanto di un progetto, quanto del padre degli autocrati europei: Viktor Orbán. E’ stato Janša a salvare Orbán lo scorso anno, quando il Partito popolare europeo non sapeva cosa fare con il premier ungherese che continuava ad attaccare l’Ue e i suoi valori. Alcuni volevano espellerlo, ma Janša, allora soltanto leader del suo partito, Sds, mandò una lettera all’ex presidente del Ppe, Joseph Daul, per dirgli che cacciare Fidesz avrebbe diviso ancora di più i popolari. Janša fu ascoltato – Daul non era Tusk, che oggi ha twittato: “Cos’altro dovrebbe fare Fidesz perché tutti voi vediate che non si può adattare alla nostra famiglia?” – Fidesz fu soltanto sospeso e poco dopo lo sloveno divenne premier. Adesso vuole a tutti i costi farsi vedere vicino agli autocrati dell’est, questa settimana ha anche assestato un colpo duro all’agenzia di stampa statale, che non riceverà più i finanziamenti che le spettano. Non è la prima ritorsione contro i media. Il partito di governo da tempo  parla della possibilità di tagliare i fondi alle reti pubbliche per destinarli alle private. Tra queste c’è Nova24TV, che secondo il New York Times, finora ha ricevuto soldi da alcuni investitori ungheresi. Janša e il suo maestro collaborano molto da vicino, ma è curioso come nessuno dei due sia nato nazionalista e illiberale.

 

 

La freddezza di Ursula sui diritti.  La presidente della Commissione europea è una della realpolit. Fin dall’inizio del suo mandato – è passato un anno – la von der Leyen ha fatto capire che era disposta a cedere un po’ sui diritti in cambio del sostegno su altri fronti, a partire dalla sua stessa presidenza. Per questo oggi che Ungheria e Polonia hanno messo il veto al Recovery fund – c’è il vertice la prossima settimana ma lo stallo persiste – la von der Leyen è del partito delle concessioni. Molti ribattono: proprio la certezza di queste concessioni ha portato Budapest e Varsavia al veto. Lei pensa che intanto vada risolto il guaio dello slittamento del fondo, poi per lo stato di diritto si potrà intervenire. In realtà poi non si interviene, e il punto del “free riding” illiberale è appunto questo.

 

Il calore di Vera sui diritti. Oggi la commissaria europea della Repubblica ceca, Vera Jourova, presenterà il suo European democracy action plan, un piano per proteggere la democrazia europea dalla disinformazione e dalla fine del pluralismo in alcuni paesi membri. A difendere i valori dell’Europa c’è lei, che la sua carriera tra le istituzioni comunitarie l’aveva iniziata quasi per sbaglio, sicuramente in modo inaspettato, ma oggi, come scrive Politico citando un’espressione sua,  è diventata uno sceriffo solitario. “Lo stato di diritto è una responsabilità condivisa e può essere rispettato solo se tutti ci assumiamo la nostra parte. Questo non è un problema che deve essere risolto da uno sceriffo solitario”, ha detto a novembre. La vicepresidente della Commissione  per i valori e la trasparenza ha deciso di difendere le libertà e la forza dell’Ue  con tutta se stessa, non usa eufemismi quando chiama l’Ungheria “democrazia malata” – gli ungheresi hanno chiesto le sue dimissioni – e non si fa vedere scoraggiata neppure quando ammette: “Non siamo abbastanza equipaggiati per proteggere lo stato di diritto e i princìpi democratici, e questo è un momento cruciale”. Gli strumenti vuole cercarli e crearli, e dalla sua ha la forza di chi è vissuta in un regime, l’ha sperimentato, e a quella libertà conquistata quando era una ragazza ma già appassionatissima di politica, che è una passione di famiglia, ha deciso di dedicare la sua missione europea.

 


Ursula von der Leyen fa  realpolitik anche sui diritti. Vera Jourova presenta oggi un piano per la democrazia cui lavora da una vita


 

A farci sorridere, nel giorno perfetto, ieri è arrivato anche Petras Grazulis, parlamentare lituano noto per la sua retorica anti lgbt. Grazulis era collegato da casa sua alla commissione Cultura del Parlamento di Vilnius, ha acceso la telecamera e alle sue spalle è comparso un uomo nudo (al 13esimo minuto del video su Youtube). Pare che il ragazzo senza maglietta fosse un familiare che aiutava il deputato che aveva problemi con il collegamento. Nulla di scandaloso, una tranquilla giornata d’Europa – quell’Europa in cui i club fetish come il KitKat di Berlino, uno dei locali più famosi della città, si trasforma in un centro dove fare i tamponi, come a dire: libertà e responsabilità si sono sposate, nell’European way of life.