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il discorso

La guerra in Ucraina è la nostra guerra e possiamo vincerla, con la testa e con il cuore, dice Tusk

"Il conflitto russo-ucraino è solo parte di un progetto sinistro che ciclicamente riappare nel mondo. Ogni paese deve contare su se stesso. Se vogliamo contare sugli alleati, dobbiamo essere un elemento a pieno titolo del Patto atlantico. Sarà l'Ucraina a vincere". Le parole del premier polacco

Traduciamo il discorso del primo ministro polacco Donald Tusk al Warsaw security forum, il 29 settembre scorso.
 

Sono molto colpito dalla mobilitazione qui a Varsavia, dalla mobilitazione degli organizzatori, a cui va il mio più sincero ringraziamento. Katarzyna Pisarska, Zbigniew Pisarski e tutti  gli organizzatori di questo forum hanno iniziato a pensare, a parlare, a volte a gridare la necessità di un’Europa sicura, a mettere in cima alle priorità la nostra sicurezza molto prima che diventasse di moda. E grazie al loro lavoro e al lavoro di tutti i partecipanti di quest’anno e degli anni passati, oggi pensiamo in modo più intelligente alla sicurezza,  in modo più ampio e intenso. Oggi comprendiamo molto meglio quale sia la reale minaccia nel Ventunesimo secolo e  come bisogna difendere la nostra civiltà occidentale da questa minaccia. C’è la guerra. Oggi il compito più grande, il compito più importante di tutti i leader dell’opinione pubblica è rendere consapevoli fino in fondo, nel profondo delle menti e dei cuori, di tutta la comunità occidentale, di tutta la comunità transatlantica, che c’è una guerra, non voluta, a tratti strana, di un nuovo tipo, ma pur sempre guerra. Non è necessario ricorrere a Tucidide e alla sua tesi, purtroppo universale e ancora attuale, secondo cui la pace sia solo un incidente tra lo stato naturale, che è quello dei conflitti e delle guerre. Sembra pessimistico, ma anche tremendamente realistico. Appartengo a quella generazione che è nata e cresciuta dopo la guerra. Tutto era “post-bellico”. Eppure quella guerra era ancora a portata di mano, nelle sue tracce, nella memoria di ciò che la guerra porta con sé. 

Quando abbiamo visto le immagini scioccanti di Bucha, le testimonianze di donne violentate, i racconti di massacri di bambini e anziani, mi sono tornate alla mente le parole di mia nonna che raccontava la sua esperienza a Danzica durante la Seconda guerra mondiale. Quando abbiamo visto Mariupol distrutta, abbiamo rivisto città polacche. Non sono così vecchio, ma quando andavo a scuola nella mia città natale, Danzica, metà del tragitto era ancora tra le rovine della Seconda guerra mondiale. Ci sembrava che dopo la guerra ci sarebbe stato qualcosa di duraturo. Soprattutto a Danzica, dove nacque Solidarnosc e dove fu abbattuto il comunismo, sembrava che le ultime conseguenze negative della Seconda guerra mondiale fossero state definitivamente cancellate. La caduta del comunismo, il crollo  dell’Unione sovietica, la riconquista della libertà da parte della Polonia e degli altri paesi della regione e il trionfo dell’occidente: alcuni proclamarono perfino la “fine della storia”. Sembrava che non solo la mia generazione, ma anche quella dei miei figli e dei miei nipoti avrebbe vissuto in pace. Ma è meglio che  ce ne rendiamo conto, è meglio non vivere nell’illusione.  La pace non è data per scontata una volta per tutte.  La pace non è qualcosa di scontato, men che meno in questa parte di mondo. E’ esattamente il contrario.  Ed è per questo che una  riflessione sulla sicurezza, sulla guerra, sulla pace, sulla comunità occidentale è così importante. Ma ovviamente non sono importanti solo le parole, ma anche le azioni. 

Voglio dirlo chiaramente, e voglio che in Polonia i miei cittadini lo sentano con forza: questa guerra è anche la nostra guerra.  Spesso, sia qui a Varsavia sia altrove nel mondo, sentiamo le persone dire: “No, questa non è la nostra guerra, non ci riguarda. Che se la sbrighino da soli, non vogliamo pagare, non vogliamo sacrificare né il nostro denaro  né il nostro tempo, e tanto meno la vita dei nostri soldati”.  Ma dobbiamo essere consapevoli che la questione qui  non è se qualcuno abbia avuto esperienze positive o negative con l’Ucraina nel corso della storia. Non è una questione di semplice solidarietà con un paese aggredito. E’ una questione di sicurezza e di sopravvivenza dell’intera civiltà occidentale. Questa è la nostra guerra perché la guerra in Ucraina è solo una parte di un progetto sinistro che ciclicamente riappare nel mondo. Lo scopo di quel progetto politico è sempre lo stesso: come sottomettere i popoli, come privare le persone della propria libertà, come far trionfare autoritarismi e dispotismi, crudeltà e negazione dei diritti umani.  Non elencherò tutti gli attributi che oggi caratterizzano il regime di Putin, e non solo in Russia. Ma per questo, che piaccia o meno, questa è la nostra guerra.  Non solo per solidarietà con coloro che sono stati aggrediti, ma per il nostro interesse fondamentale. Se perderemo questa guerra – e dobbiamo parlarne in prima persona – le conseguenze ricadranno non solo sulla nostra generazione, ma anche su quelle future, in Polonia, in Europa, negli Stati Uniti e ovunque nel mondo.  Non facciamoci illusioni su questo.

Quando dico che questa è la nostra guerra, questo deve avere anche conseguenze pratiche. La Polonia lo ha capito abbastanza presto, non solo per ragioni geografiche e storiche, ma anche grazie a  una valutazione lucida di ciò che è la Russia contemporanea.  Abbiamo capito presto che sulla sicurezza non si può risparmiare, e che la solidarietà e l’unità dell’Unione europea, della Nato e dell’intera famiglia transatlantica  sono condizioni indispensabili non solo per sopravvivere, ma per sconfiggere chi attacca  le fondamenta della nostra civiltà. Lo so: non è un compito semplice. Ma ricordiamoci tutti – non solo qui in Polonia – che bisogna prima di tutto contare su se stessi. Per questo abbiamo deciso di armare la Polonia e di modernizzare il nostro esercito su larga scala, perché sappiamo che dobbiamo contare prima di tutto su noi stessi. Se vogliamo contare sugli alleati, dobbiamo essere un elemento a pieno titolo del Patto atlantico. A volte abbiamo l’impressione che nella comunità transatlantica compaiano delle crepe. Traiamone una lezione. Non chiediamoci come mantenere l’unità perfetta o come convincere gli Stati Uniti a un maggiore e duraturo impegno sull’Ucraina. Dimostriamo prima di tutto che noi europei siamo capaci di mobilitare le nostre società, i nostri governi e la nostra comunità per  un’azione efficace. 

L’America ha il diritto di chiedere un maggiore impegno all’Europa, così come noi abbiamo il diritto di aspettarci dall’America che continui a trattare la comunità transatlantica come una priorità assoluta, come una garanzia della sopravvivenza del nostro mondo. Non si tratta di impartire lezioni reciproche, ma di imparare gli uni dagli altri i propri doveri di fronte a questa guerra, che come ho detto è la nostra guerra. Non è vero, come sostengono in molti, che questa guerra non si possa vincere. Tutto dipende dalle nostre teste, perché i numeri parlano da soli. Se l’Ucraina, pur pagando un prezzo enorme – e sappiamo bene qui in Polonia quanto sia alto quel prezzo – dimostra che non esiste la logica della resa, allora dobbiamo trarne una lezione di forza.  Se l’Ucraina non si è arresa, se l’Ucraina continua a combattere – e se persino il presidente Trump, con sorpresa di molti, ha detto pubblicamente “Sì, l’Ucraina può vincere questa guerra” – queste parole hanno un peso.  La fede in questa possibilità ha un peso enorme, perché si perde o si vince prima nelle menti e nei cuori, e solo dopo sul campo di battaglia. Se l’Ucraina riesce a resistere in modo eroico ma anche razionale e pragmatico, perché mai tutta l’Europa e l’intera comunità transatlantica dovrebbero cadere  in qualche complesso di inferiorità di fronte all’aggressore?  Se anche solo per un istante pensassimo che questa guerra l’occidente debba perderla, saremmo condannati fino alla fine del mondo.  Sarebbe imperdonabile.  


Tutti i dati ci dicono il contrario: guardiamo a noi stessi, all’America, guardiamo a come combatte l’Ucraina. Non c’è alcuna ragione per pensare in termini di capitolazione. Nessuna, se non la debolezza di volontà, il dubbio, la codardia, la mancanza di immaginazione. Se liberiamo i nostri cuori e le nostre menti da tutto questo, non ci sarà alcun motivo per rinunciare alla solidarietà, alla cooperazione e al sostegno all’Ucraina con ogni mezzo disponibile. Lo ripeto: lo facciamo per noi stessi, non solo per gli ucraini. Lo facciamo per noi, per il nostro futuro. E oggi abbiamo un altro esempio che dimostra che non è necessario essere una potenza per vincere. Spero che questa immagine da Varsavia arrivi a Chisinau, alla nostra amica Maia Sandu: la Moldavia  ha vinto ancora una volta contro una potenza. Conoscete bene la piccolezza del loro esercito, eppure hanno resistito non solo all’occupazione de facto oltre il Dnestr, ma anche a un’aggressione diretta con brutali ingerenze russe nel loro processo elettorale.  Hanno vinto perché nei loro cuori e nelle loro menti avevano la convinzione che non ci si deve arrendere, e perché credevano nella solidarietà, e non sono rimasti delusi dall’Europa. Per questo la parola “solidarietà”, che in Polonia ha un significato particolare, oggi dovrebbe averlo per tutto l’occidente. Dobbiamo essere solidali non per sentimentalismo, ma perché solo la solidarietà può garantire la vittoria. Se saremo solidali, come recita lo slogan del nostro incontro di oggi, non perderemo. Sarà l’Ucraina a vincere questa guerra, sarà salva l’indipendenza dell’Ucraina, sarà salva la prospettiva delle nostre future generazioni. Ne sono fermamente convinto. Pensateci, parlatene e agite. Grazie.

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