Ansa

in Spagna

La crisi di Pedro Sánchez, tradito dalla “Banda del Peugeot”

Guido De Franceschi

Le accuse di corruzione e i gravissimi indizi di colpevolezza a carico di esponenti di primo piano del Psoe, mettono a rischio la tenuta del governo spagnolo. Con il premier attaccato dall'opposizione ma anche da parte degli alleati. Il meme creato con l'AI dal Partito popolare

Madrid. Due giorni fa, il portavoce di Esquerra republicana de Catalunya, Gabriel Rufián, ha detto al premier socialista spagnolo Pedro Sánchez: “Giuraci e stragiuraci che non siamo di fronte al caso Gürtel del Psoe”. Il riferimento è a un immane scandalo, scoppiato nel 2009, che riguardava, in quel caso, il Partito popolare (Pp). Le indagini sul caso Gürtel, dalle quali emerse l’esistenza di una rete di corruzione sistemica, si sono ramificate a tal punto che le ultime sentenze sono attese, dopo sedici anni, per il prossimo autunno. Ma il problema è proprio quello: neppure Sánchez può dirsi certo che non emergano nuovi nomi dalle investigazioni che hanno per ora evidenziato gravissimi indizi di colpevolezza (si parla, anche qui, di una rete di corruzione) a carico dell’ex ministro dei Trasporti nonché ex numero tre del Psoe, José Luis Ábalos, del suo successore nella carica di segretario dell’organizzazione del Psoe, Santos Cerdán, e di Koldo García, uomo di fiducia di entrambi, passato in pochi anni dal ruolo di autista e galoppino a quello di consulente ministeriale. García registrava tutto e tutti. Ed è quindi dal suo ampio archivio di audio che potrebbero emergere elementi imbarazzanti che, anche al di là della loro rilevanza penale, potrebbero insozzare la fedina morale del Psoe fino al punto di costringere il premier all’addio. 

In assenza di ulteriori allargamenti della cerchia dei presunti colpevoli è però possibile, se non probabile, che Sánchez, autore nel 2019 di un’autobiografia politica intitolata “Manuale di resistenza”, riesca a rimanere in sella per un altro giro di giostra. Infatti, le regole istituzionali spagnole, in alternativa alle dimissioni volontarie, prevedono come unica modalità per far cadere un governo un meccanismo di sfiducia costruttiva e nessuno degli alleati di Sánchez sembra essere così autolesionista da regalare i suoi voti, e quindi la guida immediata del governo, a un candidato indicato dalla combo Pp-Vox. Stavolta però, la botta è stata fortissima. Non solo e non tanto perché l’opposizione e con essa lo schieramento mediatico ostile al governo – in cui a molte testate spesso aggressive ma serie si mescolano giornali online e commentatori che, scimmiottando le squadracce digitali trumpiane, intrecciano verità, mezze verità, venticelli rossiniani e fake news bell’e buone – hanno finalmente un’arma davvero affilata per provare a bucare il pallone al premier, il quale, per ora urla “E tu di più!!!”, sapendo che per ogni scandalo di corruzione che coinvolge il Psoe se ne possono sempre citare tre o quattro che hanno coinvolto il Pp. Basterà? 

Intanto, anche gli alleati di Sánchez si fanno sentire. La piattaforma di sinistra Sumar della vicepremier Yolanda Díaz, in occasione dell’incandescente seduta parlamentare di due giorni fa, non ha mandato sui banchi del governo i suoi ministri (lei compresa) che non dovevano rispondere a interrogazioni che riguardassero il loro dicastero. Gli indipendentisti catalani di Junts non hanno avuto neanche bisogno di specificarlo: come sempre e più di sempre, faranno pagare carissimi i loro voti – e intanto hanno depositato un veto a quella legge sulla riduzione dell’orario di lavoro che è la pietra angolare dell’alleanza tra Psoe e Sumar. Quanto agli altri indipendentisti catalani, quelli di Esquerra, il loro portavoce Rufián, già citato più sopra, si è rifiutato di fare una foto con Sánchez. Podemos ha detto che la legislatura è politicamente morta (intanto, però, dopo aver dipinto per mesi Sánchez, che pure è stato, fin dall’inizio della crisi di Gaza, uno dei critici più duri in Europa del governo israeliano, come una sorta di signore della guerra, proprio ieri la sinistra radicale ha incassato il “no” della Spagna all’aumento dei contributi da versare alla Nato). Non bastasse, il Bloque nacionalista galego (Bng) non ha neppure voluto partecipare al giro di incontri con Sánchez e altre due formazioni minori, Compromís e Coalición Canaria, hanno detto che non si fidano più del governo. I baschi del Pnv e di EH Bildu, invece, sono stati più miti con il premier. E allora, se gli attacchi da parte dell’opposizione e degli alleati sono (forse) superabili grazie a qualche acrobazia, perché la botta ricevuta da Sánchez è stata davvero forte? 

La risposta è in un meme creato dal Pp con l’AI: il finto trailer di un film intitolato “La banda del Peugeot”. Il riferimento è al mito fondativo del “sanchismo”. La storia è questa. Nel 2015 il giovane Pedro – nuovo, fresco e bellissimo – vince le primarie per la guida del Psoe. Al governo c’è il popolare Mariano Rajoy. Nel 2015 si vota. Vince il Pp ma non ha la maggioranza. Nel 2016 si rivota. Idem. Dopo mesi di tira e molla, la dirigenza socialista preme per un’astensione che permetta a Rajoy di far nascere un governo. Sánchez è contrario e conia lo slogan “No es no”: il Pp, dice, è una sentina di corruzione (disclaimer: un po’ lo era davvero). La direzione del Psoe impone l’astensione. Rajoy forma il governo. Sánchez si dimette da deputato. Sale sulla sua Peugeot 407, archetipica auto no frills da classe media, e gira tutta la Spagna per portare in ogni angolo del paese il suo messaggio di pulizia e rinnovamento. Nel 2017 rivince le primarie. Nel 2018, proprio dopo le prime sentenze sul caso Gürtel, rovescia il governo Rajoy con l’unica mozione di censura coronata dal successo della storia spagnola. E oggi il suo è l’unico governo di sinistra di un grande paese dell’Unione europea. 

Nel “Manuale di resistenza” in cui Sánchez racconta quell’avventura alla guida del Peugeot, hanno un ruolo importante sia Ábalos sia Cerdán. E, in un cameo, compare persino Koldo García che, al tempo, non era nessuno. Le pagine di quel libro, sono ora tutte macchiate dai liquami che colano da questa storiaccia di fiducia tradita (è l’ipotesi migliore). E il leader in camicia bianca che sulla sua station wagon guida la carica contro il malaffare non è più un eroe, ma solo il protagonista di un meme. Eppure, visto che si sta parlando di Ercolino-sempre-in-piedi, è comunque prudente aggiungere un “almeno per ora”.

Di più su questi argomenti: