negoziati e domande

Le due settimane di Trump per decidere cosa fare con l'Iran

Micol Flammini

I contatti tra Witkoff e Araghchi, l'incontro a Ginevra degli europei e la domanda ripetuta ai collaboratori sul piano per attaccare. Negoziatore o interventista, il regime a Teheran intanto studia le mutazioni del capo della Casa Bianca

Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha pubblicato su X la mappa della parte di Be’er Sheva, in Israele, in cui si trova l’ospedale colpito dai missili del suo paese. Nella mappa, il ministro segnala che vicino alla struttura si trova una base dell’esercito e nel post, pubblicato su X, scrive che l’ospedale è usato per curare i soldati israeliani “coinvolti nel genocidio a Gaza”. La mappa è approssimativa, presenta molte strade con nomi sbagliati, lettere distorte, la parola “Boulevard” abbreviata in “Bivd”. Non corrisponde alla planimetria della zona, è finta. Il ministro degli Esteri iraniano è l’uomo di riferimento per i colloqui con gli Stati Uniti. Gli attacchi di Israele contro la leadership iraniana stanno prendendo di mira i militari – ieri è stato eliminato il nuovo capo di stato maggiore, Mousavi – si sa poco  dei componenti del governo, ma finora in pochi sono stati visibili dal punto di vista mediatico quanto Araghchi. 


Non si è mostrato, ma il ministro ha continuato a comunicare, non soltanto con gli iraniani, ma anche con gli americani. Ieri la Casa Bianca ha confermato che Araghchi ha parlato al telefono per due volte con l’inviato speciale per il medio oriente Steve Witkoff, promotore dell’accordo con l’Iran. I due si sono incontrati nei mesi scorsi per tenere cinque round di negoziati – prima del sesto è iniziato l’attacco di Israele. Gli Stati Uniti avevano mostrato a Teheran una proposta di accordo, attendevano la risposta degli iraniani che hanno continuato a prendere tempo. Al telefono i due avrebbero discusso  anche di questo. Se Witkoff parla con Araghchi, è perché il presidente americano Donald Trump vuole che lo faccia. Il capo della Casa Bianca, secondo Axios, non è sicuro dell’eventuale successo di un attacco americano contro l’impianto nucleare di Fordo e continua ad assillare i suoi collaboratori con la domanda fondamentale: il piano funzionerà? Trump  non crede che un intervento americano sia veramente necessario. Le bombe bunker buster che soltanto gli Stati Uniti possiedono sono le uniche a poter entrare in profondità per distruggere Fordo, che si trova a oltre ottanta metri sottoterra, ma non sono mai state usate sul campo di battaglia. Non è tanto la mancanza di esperienza con questo tipo di bomba a frenare Trump – dal Pentagono gli assicurano che i test sono efficaci e sono stati fatti con tutte le precauzioni necessarie – ma è la possibilità di una guerra più lunga. Trump ritiene che ci siano ancora possibilità di negoziato e oggi a Ginevra dovrebbe esserci il primo incontro che vede l’Unione europea e i tre stati che hanno fatto parte del Jcpoa (il vecchio accordo sul nucleare con l’Iran siglato nel 2015 e stracciato nel 2018) come promotori di un’azione diplomatica. Sarà sempre Araghchi a incontrare i ministri degli Esteri della Francia, della Germania e del Regno Unito. Gli Stati Uniti osserveranno, mentre i piani di attacco rimangono pronti. 


Da quando è iniziata la guerra, il presidente americano ha oscillato tra il voler proiettare l’immagine del pacificatore e il minacciare di usare il suo ruolo di comandante della potenza militare più grande del mondo. Ieri la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha detto che Trump prenderà la decisione entro due settimane.
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)