Elezioni catalane

Tutti a cercare Puidgemont, intanto Sánchez piazza il suo Illa alla guida della Generalitat

Guido De Franceschi

L'acrobazia catalana del premier spagnolo, fa capire che non ha alcuna voglia di giocare a "guardia e ladri" con il fuggitivo autoesiliato in Belgio. Tornato, nonostante i rischi, per scombussolare il parlamento catalano

L’ex presidente catalano Carles Puigdemont aveva promesso che oggi, dopo sette anni da esiliato (o latitante), sarebbe tornato a Barcellona per assistere al dibattito parlamentare che doveva consegnare – e ha consegnato – al socialista Salvador Illa la carica di president de la Generalitat de Catalunya. La controversa legge di amnistia, già approvata mesi fa dal Parlamento spagnolo, è ancora impigliata tra il Tribunale supremo e quello costituzionale ed è per questo ancora inattiva. Il ritorno di Puigdemont in patria aveva quindi un solo possibile esito: il suo arresto. Puigdemont – si pensava – sarebbe comparso d’improvviso in una via del centro di Barcellona. Da lì, protetto dalla folla dei militanti di Junts, il movimento indipendentista da lui guidato, si sarebbe diretto verso il Parlamento. E, nel momento in cui la polizia lo avesse arrestato, il dibattito sarebbe stato giocoforza interrotto e l’investitura di Illa si sarebbe almeno temporaneamente inceppata mostrando a tutti gli indipendentisti come il patto stretto con i socialisti da Esquerra republicana, l’altro partito separatista concorrente di Junts, fosse, di fatto, un patto con i repressori. E oggi, in effetti, provenendo a piedi da un vicolo, Puigdemont si è materializzato di buon mattino nel punto convenuto del capoluogo catalano dove ha tenuto una breve allocuzione davanti a tremila simpatizzanti. Poi però è salito su un’auto bianca e, puf!, si è smaterializzato inseguito dagli agenti della polizia regionale che hanno trasformato l’intera Catalogna in un enorme ingorgo senza riuscire a individuarlo (hanno invece arrestato due colleghi che ne avrebbero agevolato la fuga). E, mentre per le strade Puigdemont e la polizia giocavano a questa grottesca partita a “guardie e ladri”, in aula Illa veniva eletto presidente: si tratta dell’ennesimo azzardo vincente del premier Pedro Sánchez, che ora ha un suo uomo alla guida del governo regionale più delicato. Il socialista Salvador Illa è arrivato alla guida della Catalogna attraverso una catena di azzardi.

 


I  volteggi  di Illa sono riusciti all’ultimo minuto, com’è nello stile del suo mentore, il premier socialista spagnolo Pedro Sánchez, il gambler più vincente della politica europea, che ha fortissimamente desiderato di avere un suo uomo come primo presidente catalano non indipendentista in 14 anni. La rincorsa è partita nel novembre scorso, quando Sánchez ha ottenuto per un soffio la maggioranza (177 “sì” e 172 “no”) che gli ha permesso di varare il suo terzo governo. Per avere i “sì” determinanti dei sette deputati di Junts fedeli a Puigdemont, Sánchez ha promesso loro una legge di amnistia che avrebbe condonato le pene comminate dai giudici al loro leader per aver proclamato l’indipendenza della Catalogna. Una misura, l’amnistia, difficile da far digerire ai settori più “spagnolisti” del Psoe. Ma Sánchez c’è riuscito. La legge di amnistia è stata approvata il 30 maggio scorso, sul filo del rasoio: servivano 176 “sì” e ce ne sono stati 177. Nel frattempo, il 12 maggio, si era votato in Catalogna. E per la prima volta dopo molti anni la somma dei seggi dei partiti indipendentisti non rappresentava la maggioranza. Uno smacco per Puigdemont che sognava di tornare, sulle ali dell’amnistia, sulla poltrona di presidente catalano.

 

Il vincitore delle elezioni, il socialista Illa poteva invece sognare una maggioranza. Per rendere questo sogno realtà, avrebbe dovuto ottenere il supporto (scontato) del movimento di sinistra Comuns, ma avrebbe anche dovuto fratturare il fronte indipendentista convincendo Esquerra republicana (Erc) ad appoggiarlo, “tradendo” Puigdemont e Junts. E qui è entrato in campo Sánchez che da Madrid ha fatto annusare a Erc la promessa che alla Catalogna sarebbe stato concesso quello che gli indipendentisti di ogni colore chiedono da sempre: un modello di raccolta e gestione delle imposte superautonomo analogo a quello già in uso nei Paesi Baschi e in Navarra. Questa promessa ha sollevato una mezza rivolta tra i socialisti delle regioni più “povere” secondo cui è inaccettabile fare un simile regalo alla ricca Catalogna. Il più rumoroso tra questi socialisti scontenti del loro leader è stato il presidente della Castilla-La Mancha, Emiliano García-Page, non nuovo alla dissidenza. Ma anche lì a Sánchez è bastata una battuta per mettere a tacere, per ora, le critiche: “Sarebbe una notizia se García-Page dicesse una cosa favorevole al mio governo”. Poi si è dovuta attendere l’approvazione (non scontata) dell’accordo con i socialisti da parte della militanza di Erc: vittoria del “sì” di misura (53,5 per cento). Poi ha dovuto votare il gruppo giovanile di Erc che “decide” il voto di una delle deputate del partito. Un dettaglio? No, perché senza di lei la maggioranza di Illa sarebbe saltata. E alla fine si è arrivati alla giornata di oggi. Con la rocambolesca toccata e fuga di Puigdemont, che è entrato sì in scena per scompigliare le carte – a metà tra l’eroe della resistenza catalanista, all’ un tempo rivoluzionario e borghese, e il generale un po’ perso nel suo labirinto (“Siamo ancora qui perché non abbiamo il diritto a lasciar perdere”) – ma poi si è trasformato in fantasma senza aver ottenuto niente. Infine, in serata, il voto. Illa è diventato presidente della Catalogna con 68 “sì”, 66 “no” e un assente: Puigdemont. In perfetto stile Sánchez.  
 

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