Il Kgb ti dice: non uscirai vivo. L'occidente dimostra che non è vero. Il commento di Sharansky
Le considerazioni del dissidente sovietico che fu liberato durante lo scambio citatissimo sul “Ponte delle spie” raccolte da Bari Weiss in un articolo
Bari Weiss, fondatrice del sito di opinioni e analisi Free Press, ha scritto uno degli articoli più belli sulla liberazione dei prigionieri politici in Russia, dal titolo: “La libertà di Evan Gershkovich – e la forever war contro i tiranni”. Racconta lo scambio con le spie e i criminali russi, ritrae i giornalisti e dissidenti che sono tornati dalle prigioni russe, e poi parla con Natan Sharansky, dissidente sovietico che fu liberato durante lo scambio citatissimo sul “Ponte delle spie”. Quando si è diffusa la notizia dello scambio di prigionieri, scrive Weiss, “ho chiamato Sharansky, che ha passato nove anni in un gulag e che ha scritto un libro, Fear No Evil, che ha ispirato Alexei Navalny”, morto nella colonia penale a Charp, nell’Artico russo, il 16 febbraio scorso, e che secondo tutte le ricostruzioni pubblicate in questi giorni faceva parte dello scambio che si è concluso giovedì – ma non è sopravvissuto alla prigionia di Vladimir Putin.
“Avital e io siamo molto emozionati e commossi”, dice Sharansky a Weiss, facendo riferimento alla moglie che si era battuta indefessa per il suo rilascio: “Non era nemmeno chiaro se alcuni di questi prigionieri sarebbero sopravvissuti fisicamente, se sarebbero stati in grado di costruire una famiglia. E’ un momento molto emozionante di ricongiungimento e di speranza che si rinnova. Ci identifichiamo moltissimo con queste famiglie. Quando ero in prigione ero molto ottimista– continua Sharansky – Non riguardo a me, ma riguardo alla nostra lotta e alla nostra vittoria finale sul sistema del male. Ma di te stesso non puoi mai essere sicuro. E cerchi di non vivere con questa pericolosa speranza, perché se vivi solo nella speranza, puoi essere spezzato molto facilmente. Navalny era molto ottimista sul futuro, ma era cauto su sé stesso. Quando si vive in questa situazione, non si può pensare alla propria liberazione, ma si può pensare alla vittoria finale: la sconfitta del male”.
Ma cosa succede se sconfiggere il male significa arrendersi al male?, chiede Bari Weiss, che risponde citando Ben Domenech dello Spectator, che ha sottolineato i terribili incentivi insiti nello scambio di prigionieri, nonostante il suo rapporto personale con uno di questi, Vladimir Kara-Murza: “Fino al giorno in cui gli Stati Uniti non riusciranno a infliggere pene a questi rapitori, senza concedere loro nemmeno un po’ di soddisfazione, il rapimento e l’incarcerazione di americani in tutto il mondo continuerà, e peggiorerà, e crescerà”, ha scritto Domenech, aggiungendo: “Un presidente americano non dovrebbe mai essere disposto a sottostare a questo tipo di estorsione. La nostra determinazione alla vergogna è ormai acquisita. Il paese ha bisogno di un presidente che abbia la forza di dire no e di reagire, e che capisca che una volta che hai pagato il Danegeld, non ti sbarazzi mai del danese”, citazione di Rudyard Kipling.
Sharansky lo sa fin troppo bene, dice Bari Weiss, “vive in un paese, Israele, che nel 2011 ha scambiato più di mille prigionieri con un solo soldato israeliano catturato, Gilad Shalit. Tra quei prigionieri rilasciati c’era un terrorista palestinese di nome Yahya Sinwar. Sinwar avrebbe poi orchestrato il massacro del 7 ottobre 2023. Tra i 1.200 innocenti massacrati e ai più di 250 sequestrati quel giorno, c’erano anche cittadini americani, tra cui cinque ancora in vita: Edan Alexander, Omer Neutra, Hersh Goldberg-Polin, Sagui Dekel-Chen e Keith Siegel. Sono trattenuti da Hamas da 300 giorni”. Sharansky dice che “molti sono sconcertati, dicono che stiamo liberando assassini e spie che vengono scambiati con persone innocenti, e questo non è equo. Inoltre, i russi saranno motivati a rapirne altri. E’ tutto vero, ma voglio che la gente capisca che ogni volta che si toglie un altro dissidente democratico dagli artigli di questa bestia è una grande vittoria.
Dimostra che c’è speranza e che i russi non possono controllare completamente quelli che li sfidano. Il Kgb vi dice che non ne uscirete vivi: questa è la prova che si sbagliano e che il mondo libero è dalla parte” dei dissidenti. Sharansky dice di aver pensato molto a Kara-Murza, a un’amica con cui era in contatto durante la sua condanna, agli altri prigionieri e soprattutto a Yulia Navalnaya, la vedova di Navalny, il cui arresto è stato ordinato da un tribunale di Mosca, anche se lei vive fuori dalla Russia: “La morte di Navalny non è stata vana. La determinazione delle persone in occidente a negoziare è diventata molto più forte dopo la sua morte. Hanno capito che dobbiamo salvare” i prigionieri di Putin. Ma non è stata vana in un senso più globale, nell’eterna guerra tra libertà e tirannia: “Ha giocato un ruolo enorme dimostrando di non avere paura”.
Isteria migratoria