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Tra roma e Bruxelles

Negoziati e dialogo. Così l'Italia (poco orbaniana) ha lavorato sui migranti

David Carretta

Scegliendo di negoziare da partner europeo, invece di lanciarsi nella strategia dei veti e dei pugni sul tavolo, stile Orbán, il governo Meloni è riuscito a limitare i danni e migliorare un Patto sulla migrazione che avrebbe potuto avere ripercussioni molto più pesanti per il paese

Bruxelles. L'accordo sul nuovo Patto su migrazione e asilo potrebbe trasformarsi in un nuovo regolamento di Dublino per l'Italia, che dovrà essere molto più responsabile per evitare i movimenti secondari di migranti in cambio di ben poca solidarietà. Ma, scegliendo di negoziare da partner europeo, invece di lanciarsi nella strategia dei veti e dei pugni sul tavolo stile Viktor Orban, il governo di Giorgia Meloni è riuscito a limitare i danni e migliorare un testo che avrebbe potuto avere ripercussioni molto più pesanti per il paese. “L'Italia non sarà il centro di raccolta degli immigrati per conto dell'Europa”, ha detto il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, dopo l'approvazione del nuovo Patto al Consiglio di Lussemburgo giovedì.

Non è proprio così. I paesi di primo ingresso saranno chiamati a fare da centro di raccolta con le cosiddette “procedure di frontiera”, che istituzionalizzano il sistema dei campi chiusi introdotti sulle isole in Grecia nel 2016. Ma, durante le trattative, Piantedosi ha ottenuto diverse concessioni che rendono il nuovo sistema più flessibile e più graduale, comprese alcune salvaguardie per consentire ai paesi di primo ingresso di abbandonare le “procedure di frontiera” se un afflusso massiccio dovesse rendere insostenibile la detenzione di decine di migliaia di migranti in centri chiusi ai confini. Con il sistema di voto a maggioranza qualificata, l'Ue avrebbe potuto approvare un Patto migratorio ancora più duro contro il parere dell'Italia. La presidenza svedese e gli altri grandi partner hanno deciso di non passare in forza perché, contrariamente a Polonia e Ungheria che dicono sempre “no”, il governo italiano ha negoziato in modo costruttivo e responsabile. Facendo e ottenendo concessioni per trovare un terreno comune su interessi nazionali contrapposti, l'Italia è stata ascoltata.

La campagna dell'Italia per difendersi dalle norme più insidiose del nuovo Patto su migrazione e asilo non è durata un solo giorno al Consiglio di Lussemburgo giovedì. La proposta della Commissione risale al settembre del 2020. Prima di Piantedosi era stata Luciana Lamorgese a guidare le trattative per conto dei governi Conte 2 e Draghi. I paesi di migrazione secondaria – Germania, Francia, Paesi Bassi, Belgio e Austria, che hanno domande di asilo molto più alte dei paesi di primo ingresso per le fughe di migranti – erano in posizioni di forza per la portata delle conseguenze di una mancata intesa. Senza il nuovo Patto, “si metterà in pericolo lo spazio Schengen” e “si arriverà alla chiusura delle frontiere nazionali”, ha avvertito giovedì il ministro tedesco dell’Interno, Nancy Faeser. In risposta, sin dall'inizio, l'Italia ha saputo creare un fronte unito con i paesi del sud mettendosi alla testa del Med5 formato con Cipro, Grecia, Malta e Spagna. Le trattative sono accelerate nel corso degli ultimi sei mesi, per la volontà dell'Ue di approvare il nuovo Patto entro la fine della legislatura il prossimo anno. Alcuni incidenti politici provocati dal governo Meloni – come quello della Ocean Viking con la Francia lo scorso novembre – avrebbero potuto compromettere tutto. Ma il lavoro sotto traccia di funzionari e diplomatici è proseguito. Francia, Germania, Belgio e Paesi Bassi, la cui priorità è arginare i movimenti secondari di migranti dai paesi di primo ingresso, hanno ascoltato e condiviso alcune delle ragioni dell'Italia e del Med5.

Al momento decisivo di giovedì mattina, Piantedosi si è presentato in sala spiegando di non voler “esprimere sin da subito una posizione radicalmente contraria. Ma dobbiamo immaginare su alcuni punti la possibilità di negoziare ancora per un sistema europeo sostenibile, da attuare gradualmente", ha detto Piantedosi. Dieci ore dopo ha votato a favore di un compromesso decisamente diverso dalla bozza della mattina. Tutto il contrario di Ungheria e Polonia che, sin dall'inizio del negoziato nel 2020 hanno detto “no” a qualsiasi forma di solidarietà rifiutando di trattare: Budapest e Varsavia non hanno ottenuto nessuna concessione, hanno votato contro e hanno promesso di fare cagnara (invano) al prossimo Consiglio europeo, perché nel 2018 i leader avevano promesso di decidere per consenso, non con la maggioranza qualificata.

 

La lista delle concessioni all'Italia rivendicate da Piantedosi è lunga: un tetto al numero di migranti massimo che passeranno dalle procedure di frontiera e tempi più lunghi per farle diventare pienamente operative; una clausola di revisione a un anno del sistema dopo un primo test di sostenibilità; misure di sostegno finanziario per la realizzazione delle infrastrutture dei campi;  “la creazione di un nuovo fondo europeo per i paesi terzi di origine e transito dei flussi”; la compensazione dei ‘dublinanti’ “come misura di solidarietà obbligatoria complementare alla relocation”. Piantedosi ha ottenuto anche un trattamento speciale sulla responsabilità di Dublino per i paesi di primo ingresso sui migranti coinvolti in operazioni Sar: non sarà di 24 mesi come previsto in generale, ma di 12 mesi. All'ultimo minuto, il ministro italiano ha anche strappato alla Germania il via libera a una norma da “Europa fortezza” che per Berlino era una linea rossa: la possibilità di espellere migranti irregolari verso i paesi di transito, anche se non hanno legami di alcun tipo. Al Consiglio, durante la discussione e dopo il voto, diversi partner hanno voluto ringraziare l'Italia e il Med5 per l'attitudine costruttiva. Nel frattempo, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e il primo ministro olandese, Mark Rutte, hanno accettato di partecipare ala missione a Tunisi di domenica con il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.