Il fumo del dialogo tra Cina e America

Pechino detta le condizioni dei colloqui con Washington ma intanto la spia per prepararsi a una crisi

Giulia Pompili

Tra turisti che si perdono e hacker che si addestrano per lasciare al buio l’America in caso di crisi

Il direttore della Cia William Burns il mese scorso è stato in Cina, in una missione segreta per dei colloqui con i funzionari di Pechino, anche dell’intelligence.  L’operazione, rivelata ieri dal Financial Times, si è tenuta nelle stesse settimane in cui il consigliere per la Sicurezza nazionale americano, Jake Sullivan, ha incontrato il capo della diplomazia cinese Wang Yi a Vienna, per una due giorni di colloqui (circa otto ore in totale) rimasti segreti fino alla loro conclusione il 12 maggio scorso. Sin dall’inizio della sua Amministrazione, Joe Biden ha usato in modo inedito,  per  missioni politiche e non solo d’intelligence, il capo dell’agenzia  Burns, che ha un passato trentennale da diplomatico. La sua   in Cina è la visita di più alto livello di un funzionario dell’Amministrazione da due anni, e arriva in un momento particolarmente complicato per le relazioni tra le prime due economie del mondo, in cui Pechino sta cercando di dettare le regole del dialogo con l’America. Ieri a Singapore, allo Shangri La Dialogue, il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin e il suo omologo cinese Li Shangfu si sono stretti la mano, ma l’atteso bilaterale tra i due non c’è stato perché rifiutato da Pechino. Secondo quanto riportato dalla stampa internazionale, la leadership cinese vuole che prima vengano sollevate le sanzioni contro Li imposte da Trump nel 2018 per le sue “transazioni” con la Russia di Putin. Di questa chiusura al dialogo imposta dalla parte cinese con l’America – dialogo che, a quanto pare, Pechino accetta solo se segreto e poco trasparente – ha parlato ieri da Singapore anche il primo ministro australiano Anthony Albanese.


 “Se non si diminuisce la pressione col dialogo”, ha detto Albanese, “se non si ha la capacità, a livello decisionale, di alzare il telefono, di cercare un po’ di chiarezza o di fornire un po’ di contesto, allora ci sarà sempre il rischio  che le supposizioni si trasformino in azioni e reazioni irrecuperabili”. 
Da un lato la leadership cinese seleziona con accuratezza le azioni diplomatiche per cercare di mostrare i limiti della guida americana e dividere il fronte occidentale, come nel caso della missione in Ucraina, Russia e Ue dell’inviato speciale Li Hui. Dall’altro però esiste un iperattivismo dello spionaggio cinese nei confronti dell’America che tradisce la volontà di creare per Pechino  un vantaggio, soprattutto in caso di crisi. 


L’esempio più eclatante di questa strategia è quello del pallone aerostatico spia abbattuto dai jet americani il 4 febbraio scorso, che aveva sorvolato aree sensibili degli Stati Uniti e trasportava equipaggiamento per la ricognizione. Ma c’è di più: la scorsa settimana Microsoft ha fatto sapere che il gruppo hacker Volt Typhoon, sponsorizzato dal governo cinese, sin dalla metà del 2021 ha preso di mira “infrastrutture critiche a Guam e altrove negli Stati Uniti”. Osservando il comportamento del gruppo, Microsoft ha concluso che “l’attore intende effettuare spionaggio e mantenere l’accesso senza essere rilevato il più a lungo possibile” per sviluppare capacità “che potrebbero interrompere le infrastrutture di comunicazione critiche tra gli Stati Uniti e la regione asiatica durante crisi future”. 


L’altro ieri Usa Today ha rivelato che alcuni cittadini cinesi sono stati fermati nei pressi di Fort Wainwright, base militare dell’esercito americano a Fairbanks, in Alaska: stavano cercando di entrare nella base, e quando sono stati fermati hanno detto di essere turisti che si erano persi. Nella loro auto è stato trovato un drone da ricognizione. Era già successo nel 2018 alla Naval Air Station di Key West, in Florida, quando un turista cinese è riuscito a entrare e fare delle foto, e poi di nuovo nel 2020 nello stesso posto – finì con diversi arresti. Nel 2019 una cittadina cinese è stata condannata a otto mesi dopo essersi introdotta nella residenza di Trump a Mar-a-Lago con uno zainetto di dispositivi  per lo spionaggio.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.