Foto di Unal Cam, AP Photo, via LaPresse 

nelle zone del sisma

I rifugiati siriani fuggono dalla Turchia, senza sapere se potranno tornare indietro

Antonia Ferri

Dopo il violento terremoto decine di migliaia di cittadini della Siria stanno tornando nel loro paese, ma il timore è di restare bloccati. A pesare sul loro destino sono le volontà di Erdogan

Sono più di 16 mila e 800, stanno attraversando i valichi per raggiungere le loro case in Siria e non sanno se potranno tornare indietro. Il destino dei siriani rifugiati in Turchia colpiti dal violento terremoto che ha distrutto centinaia di migliaia di edifici è incerto. E dipende anche dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan, che da anni non nasconde la sua intenzione di creare una zona cuscinetto a nord della Siria dove far confluire i profughi della guerra civile. A fare da sfondo, ci sono le elezioni in Turchia, la cui data ufficiale è il 14 maggio, e il mandato traballante di Erdogan.

 

È stata l’amministrazione siriana del valico di Bab al Hawa – uno tra i principali utilizzati, insieme a Tal Abyad e Bab al Salama – ad annunciare, in accordo con le autorità turche, l’apertura delle frontiere per chi dalla Turchia volesse far ritorno a casa da una delle dieci province colpite dal fortissimo sisma del 6 febbraio scorso. La Turchia, infatti, ospita più di 3,6 milioni di siriani in fuga dal regime di Bashar el Assad. E così lunedì, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, almeno 7 mila persone hanno attraversato Bab al Hawa per tornare da affetti e parenti

 

Il timore più grande ora è non riuscire a tornare indietro e restare bloccati in Siria. L’attraversamento ha delle regole. La visita dovrà essere temporanea: non meno di un mese e non più di sei, tranne se si passa da Bab al Hawa, per cui il minimo è tre mesi.

L'altra preoccupazione è che la Turchia approfitti della tragedia del sisma e di questo esodo per chiedere la deportazione dei siriani nella zona a nordovest, controllata dai ribelli del regime di Bashar el Assad. Il rischio concreto lo si comprende da un documento del 2017 redatto dalle autorità turche per cui il ritorno volontario nel paese d’origine per chi ha l’asilo costituisce un “motivo di cessazione della protezione temporanea”. Se questo assunto sia valido anche per i terremotati non è chiaro. E senza protezione, le porte della Turchia possono restare chiuse. 

 

Ad aggravare i dubbi ci sono le ultime mosse di Erdogan, che la scorsa primavera ha annunciato l’espansione del suo progetto per creare una "cintura di terra" sotto il suo controllo, al confine tra i due paesi, dove confinare i rifugiati siriani. Lì c’è un piano edilizio che implica la costruzione di abitazioni utili per un altro milione di profughi. Ma se a maggio 2022 non c’era nessuna certezza che i siriani avrebbero accettato di trasferircisi, con il terremoto e i possibili sotterfugi burocratici la situazione è cambiata. Inoltre, lo sciame sismico che prosegue – sono state registrate circa 6 mila scosse di assestamento – porta con sé altre conseguenze economiche e sociali, anche per la Turchia. Tra queste, il malcontento crescente della popolazione, rivolto alla crisi economica innescata dall’inflazione e ai molteplici condoni edilizi,  che negli anni hanno permesso di trascurare le norme di sicurezza degli edifici. A questi si somma l'insofferenza nei confronti dei rifugiati siriani. In questo scenario, si fa largo per Erdogan la prospettiva sempre più prossima di vedersi sfilare via il ruolo di presidente al momento del voto.

Intanto, su quel che resta dei muri delle città turche sono già comparse scritte d’odio. I siriani sono stati i primi a essere incolpati di saccheggi avvenuti nei giorni successivi alle scosse e in diverse occasioni sono stati bersaglio diretto degli attacchi di folle violente.

La rabbia xenofoba di una parte della popolazione turca, sostenuta dalla destra estrema, si è già scatenata.

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