l'ucraina guarda alla russia

Quando Putin parla, Kyiv ha una regola: fare il contrario. Basta guardare Kherson

Micol Flammini

Le bombe sulla “città colpevole” mentre si avvicina il 24 febbraio. Il discorso del presidente russo visto dall'Ucraina

Kyiv, dalla nostra inviata. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha detto che ieri aveva altro da fare e non poteva perdere tempo ad ascoltare ciò che Vladimir Putin avrebbe raccontato alla sua platea di ministri, deputati, soldati, economisti e cittadini molto assonnati. Soprattutto l’Ucraina parte da una regola, che tristemente finora non ha mai fallito: il capo del Cremlino farà il contrario di quello che dirà. Nel suo discorso che lasciava trasparire una noia armata, Putin ha detto che la Russia non è in guerra contro il popolo ucraino, ma contro il governo neonazista. Poche ore dopo, l’esercito russo ha bombardato Kherson e ha colpito anche una fermata dell’autobus, in cui non c’era nessun esponente del governo e nessun neonazista  ad attendere un mezzo di trasporto, ma comuni cittadini. La regola, che gli ucraini hanno imparato a loro spese, non è stata smentita neppure questa volta. 

Qualcuno, ironico, dice che spera tanto che Putin riesca a essere sorprendente, almeno una volta, per l’Ucraina sarebbe un dono e renderebbe tutti contenti dell’eccezione. 

 

Putin ieri durante il suo annuale discorso all'assemblea federale a Mosca (Kremlin pool / Ap)

 

A Kherson sono morte almeno sei persone, tutti civili, e i feriti sarebbero dodici, ugualmente civili. Oltre alla fermata dell’autobus sono stati colpiti anche un negozio e due palazzi residenziali. Il presidente Zelensky ha detto: “La Russia sta bombardando pesantemente Kherson. I missili sono contro le persone, edifici, farmacie, mercati, parcheggi… Sconfiggere gli invasori russi in Ucraina significa salvare sia l’Ucraina sia le altre nazioni europee che la Russia vuole prendere con il terrore. Il terrore deve perdere!”. 


Il discorso di Putin è servito a espletare un obbligo istituzionale, a far vedere che il presidente russo parla ancora ai russi, non   li ignora, nonostante  non avesse nulla da dire, se non ripetere, riaffermare, con le stesse parole, concetti vecchi e la volontà di continuare la guerra, continuare a far male all’Ucraina. Per questo il presidente Zelensky non aveva tempo di ascoltarlo, tra la visita della presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, leader di un paese alleato dell’Ucraina, e la situazione di emergenza da gestire nel paese, non c’è tempo per un disco rotto, per una noia che è ancora più pericolosa: rendere questo conflitto abitudine è quello che Putin cerca di fare da mesi. Continuare a tenere alta la soglia dell’attenzione e non scivolare nell’abitudine è invece il compito degli ucraini da cui dipende la loro salvezza. 


Da Kherson sono arrivate immagini di distruzione, teli stesi sui cadaveri, la foto della mano di una ragazza schiacciata sotto la fermata. La rabbia di Mosca contro questa città è duplice: l’aveva occupata in poco tempo grazie a una rete fitta di sabotatori e sono stati i suoi abitanti a rigettare la presenza dei soldati russi. Era stata risparmiata dai bombardamenti, dalla devastazione, doveva essere uno spot della Russia arrivata per restare, come recitano i cartelli affissi nelle regioni occupate, e invece ha aiutato i soldati ucraini a liberarla e quando sono arrivati li ha accolti con fiori e bandiere blu e gialle mentre alcuni abitanti si sono precipitati a distruggere i ricordi sgraditi dell’occupazione. Per Mosca, Kherson non può ricominciare a respirare e nella classifica delle città colpevoli è ai primi posti. Poi viene Kyiv, la città che si è difesa e che ha aiutato a proteggere Zelensky. Anche i cittadini della capitale si chiedono cosa accadrà nei prossimi giorni, come Putin marcherà la ricorrenza dell’anno di guerra. Domani il presidente russo sarà allo stadio Luzhniki di Mosca per celebrare la “Giornata dei difensori della patria”, che prima si chiamava “Giornata delle Forze armate”. Parteciperanno circa ottantamila persone e giorni fa alcuni media russi raccontavano come il Cremlino da tempo stesse ingaggiando comparse per presentarsi allo stadio ed esultare davanti a Putin: una pratica che usa ormai da qualche anno, oltre all’abitudine di imporre la presenza a questi eventi ai dipendenti statali. Ieri la platea scelta del presidente russo faticava a tenere gli occhi aperti durante il lungo discorso in cui il presidente ha parlato di guerra ma non ha spiegato come intende vincerla – eppure sono le persone che sostengono la guerra e molti hanno lavorato affinché si realizzasse – allo stadio, con i cittadini, che si mantengono alla larga dal potere, sarà difficile che il presidente russo risulterà più accattivante. Bombardare i civili a Kherson è il modo di Putin di far capire che la Russia può essere  ancora padrona dei territori da cui è stata respinta, il segnale che può ferire  ovunque: è padrona del terrore.  E’ forse l’unica concessione che gli ucraini sono pronti a fare al presidente russo: ammettere che il terrore è nelle sue mani. 


Ieri alcune testate hanno pubblicato i dettagli di un piano redatto da due agenzie di intelligence russe che prevede l’annessione della Bielorussia alla Russia entro il 2030, senza armi, una lenta e strangolante occupazione. Il metodo usato con l’Ucraina è diverso e Kyiv reclama l’anno di vita che ha perso con la guerra e che nessuno le ridarà. Nel 2014, la città ha respinto l’idea di un’annessione lenta, ha protestato contro l’intrusione di Mosca nella sua politica, ha puntato i piedi e combattuto. In Putin, l’innominato, non ha mai smesso di vedere un pericolo. E la seconda regola, dopo quella aurea – aspettarsi dal capo del Cremlino il contrario di quello che dice – ce ne è una ugualmente preziosa: non abituarsi mai al terrore. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.