Attacco con il coltello su un treno in Germania, 2 morti e 5 feriti (LaPresse) 

Così Berlino prova a proteggersi dall'estremismo

Daniel Mosseri

Jihadismo, eversione di destra e di sinistra, teorie del complotto e i “delegittimatori”. Un esperto tedesco ci porta dentro le minacce più grandi in Germania e in Europa e ai modi per contrastarle  

Quello che si ricorda meglio è il recente progetto di colpo di stato ordito dai Reichsbürger per rovesciare la Repubblica federale tedesca e rimpiazzarla con una monarchia filorussa guidata dal principe Enrico XIII di Reuss. Le giacche di tweed del nobiluomo e le riunioni segrete nel suo villino di caccia in Turingia non devono però far dimenticare una lunga lista di attentati, sabotaggi, attacchi (ora con l’ascia, il coltello o il tir, oppure cibernetici) che hanno colpito la Germania negli anni recenti – dall’omicidio di Walter Lübcke (presidente del distretto di Kassel ed esponente merkeliano e pro immigrazione della Cdu, agosto 2019), alla tentata strage alla sinagoga di Halle a ottobre dello stesso anno (2 morti), a quella di Hanau l’anno dopo (9 morti), solo per ricordare alcuni dei colpi messi a segno dall’estremismo di destra.

Terra di immigrazione, la Germania è anche teatro di attentati di matrice jihadista: su tutte, la strage al mercatino di Natale nei pressi dello zoo di Berlino il 19 dicembre del 2016 (12 morti e 56 feriti), ma anche l’attacco con l’ascia su un treno a Würzburg (luglio 2016, un morto e 5 feriti); l’attentato dinamitardo a un concerto ad Ansbach (agosto 2016, sventato); un accoltellamento per strada ad Amburgo (luglio 2017, un morto); il sabotaggio di un treno ad alta velocità ad Allersberg (ottobre 2018, sventato). E ancora, l’incendio doloso a Waldkraiburg (aprile 2020, sei feriti); l’attacco automobilistico a Berlino (agosto 2020, sei feriti); l’accoltellamento di una coppia gay a Dresda (ottobre 2020, un morto); e un altro accoltellamento per strada a Würzburg (giugno 2021, tre morti).

 

Liste non esaustive che si aggiungono a una serie di atti ostili (spesso attribuiti a gruppi sostenuti dal Cremlino) che hanno messo in allarme la società tedesca: gli attacchi ai server universitari, ai siti web dei partiti (AfD esclusa), la semidistruzione dei gasdotti Nord Stream 1 e 2, l’ancora più recente manomissione al sistema per la circolazione dei treni intercity. Tutto al netto della montata dei movimenti complottisti e no vax che hanno assaltato il Bundestag due volte in di due anni. 

   
Alla luce di tanti allarmi, chiedersi se la Germania sia un paese in grado di badare alla propria sicurezza è un esercizio naturale. “Certamente sì”, risponde Hans-Jakob Schindler, presidente del Cep (Counter Extremism Projec) di Berlino, sottolineando che ciò è tanto più vero se guardiamo alle dimensioni del paese, della sua economia e al numero di crisi che hanno colpito la Germania e l’Europa nel giro di pochi anni: dalla pandemia, al conflitto russo-ucraino e alle conseguenti crisi energetica e spirale inflazionistica. “Anzi è confortante notare come non ci sia stato quell’autunno caldo che tanti avevano pronosticato”. Anche la posizione internazionale del paese non aiuta: la Repubblica federale fa parte della coalizione anti Stato islamico, ha dato un giro di vite contro Hamas e Hezbollah, sta prendendo le distanze da Teheran. “E’ quindi vero che la Germania sta affrontando diverse minacce dall’estremismo, e forse ci saranno altri attacchi: ma l’ordine costituito non è in pericolo”.

 

Il jihadismo

Il terrorismo muta con gli anni e Schindler spiega che attorno al 2017 nel campo del jihadismo si è conclusa l’era dei grandi attacchi (torri gemelle, Atocha, Londra, Bataclan) commessi dopo mesi di preparazione da organizzazioni gerarchiche. Si è passati invece al modello dei lupi solitari, individui radicalizzati in rete che compiono attacchi più piccoli e con meno vittime, ma più frequenti. Attentati difficilissimi da prevenire proprio per i tempi ridotti dedicati alla loro preparazione, anche quando sono compiuti da persone già sotto il controllo della polizia. “E’ sufficiente che la persona entri in un supermercato e afferri un coltello”. La prevenzione, spiega ancora l’esperto che lavora per metà del tempo a New York e l’altra metà a Berlino, viene fatta su due assi: da un lato il monitoraggio dei social media e delle chat dedite all’adescamento di individui “radicalizzabili”; dall’altro compilando una lista ristretta di Gefährder, le persone considerate pericolose, intenzionate a usare la violenza allo scattare di una molla ideologica. “Questo lo fanno anche i francesi e i britannici con il Channel and Prevent Program”. Con un limite: “E’  impossibile monitorare centinaia di persone 24/7 né d’altro canto si vuole mettere in piedi uno stato di polizia”, 


L’eversione di estrema destra

I Gefährder di estrema destra sono oggi 203, un numero analogo a quello dei sospetti di estremismo islamico. Però i secondi sono stabili dal 2017 mentre i primi sono in crescita, e non è solo colpa del coronavirus. “Se un’organizzazione politica viene definita pericolosa o anticostituzionale”, come per esempio è successo in passato alla sezione giovanile dell’AfD, “tutti i suoi affiliati entrano nel computo degli estremisti e sale così anche il numero dei potenziali attentatori (i Gefährder)”. Al Foglio, l’esperto ha anche raccontato come alle tre categorie “classiche” dell’estremismo – di destra, di sinistra, e islamico – le autorità tedesche ne abbiano aggiunta una quarta: “E’ quella dei delegittimatori, una categoria più ampia con una narrazione antiestablishment sua propria”. Anche l’estremismo di destra ha seguito un’evoluzione in Europa. Se prima ogni paese aveva il suo gruppo di estremisti ipernazionalisti, negli ultimi 15 anni “è cambiata la narrativa: non abbiamo più tedeschi contro polacchi ma le ultradestre unite in rete”. Il nemico è comune: l’extracomunitario, l’ebreo, il liberale, l’esponente lgbt, i pro globalizzazione, ovvero chiunque sia considerato un sostenitore della “teoria della sostituzione dei popolo” di cui si alimentano adesso gli estremisti. Questa propaganda, insiste Schindler, ha preso molto vigore dallo scoppio della crisi dei profughi esplosa nel 2015. Oggi i fascisti tedeschi e polacchi non si picchiano più per strada ma si alleano con quelli italiani o britannici “per la difesa di una cultura immaginaria bianca e cristiana, minacciata dagli stranieri come dai politici alla Lübcke”. La questione è molto pratica, aggiunge, spiegando che se un gruppo di estremisti vuole organizzare una conferenza in Germania e la Germania la vieta, si sposteranno senza troppi problemi in Austria o in Italia “perché ormai si sentono parte di un movimento transazionale”.

  
La polizia

Di recente alcuni reparti speciali della Bundespolizei hanno arrestato nella regione renana due iraniani sunniti sospettati di fabbricare una bomba sporca con la ricina. A mettere Berlino in guardia era stata una soffiata dell’Fbi. Gli scambi di informazioni sui jihadisti sono all’ordine del giorno fra alleati “perché ormai sono vent’anni che le forze dell’ordine lavorano insieme usando anche strutture create ad hoc”. Lo stesso non si può dire del coordinamento contro l’estremismo di destra. E questo accade un po’ perché la struttura reticolare su scala europea è un fenomeno relativamente nuovo, “un po’ perché a causa delle differenze politiche che esistono tra i partiti di uno stesso paese o tra i diversi governi europei non si è ancora trovato un accordo sul ‘chi è un estremista’, ovvero sui requisiti legali per dare vita allo scambio di informazioni”. Schindler è però ottimista e poiché oggi l’estremismo di destra “rappresenta il pericolo più grande”, assicura che a questo scambio dati arriveremo presto.

 
Il caso tedesco illustra bene tali difficoltà. Se a Berlino esiste già il Gtaz (Gemeinsame Terrorismusabwehrzentrum), un centro per lo scambio dei dati fra i Länder e lo stato federale sui terroristi islamici, sul fronte dell’eversione “abbiamo una galassia di organizzazioni sospette che non sono etichettate come ‘terroriste’”. Questo, spiega il presidente del Cep, crea un ostacolo allo scambio di informazioni poiché prevale la legge sulla privacy. “E’ un limite tedesco, ma almeno da noi abbiamo la categoria degli estremisti mentre in tanti altri paesi o sei un terrorista o sei un libero cittadino sul quale non posso indagare troppo”. Il dibattito in Germania non va verso più intercettazioni per tutti quanto sull’avvicinare la categoria “estremismo di destra” a quello di “terrorismo”. 

  
Un altro settore in cui la Germania “potrebbe fare molto meglio”, conclude Schindler, è la lotta al terrorismo finanziario. Anche in questo caso è una questione di scambio dati e lui cita la mancanza di un archivio centrale delle organizzazioni no profit in Germania. “Ammettiamo che io finanzi Hamas”, ipotizza Schindler. “I dati finanziari sul Cep sono custoditi dall’ufficio delle Finanze di Berlino Mitte, e finché io non compio un illecito fiscale questi dati non saranno condivisi neppure con la polizia nell’ambito di un’indagine”. Un’apparente follia – lo stesso Schindler osserva come nel Regno Unito esista la UK Charity Commission, con i dati online di tutte le no profit – che ha una ragione storica. Ai tempi di Bismarck l’associazionismo politico era fortemente osteggiato, per cui le organizzazioni si registravano come no profit, e solo a livello di quartiere. Se durante il nazismo l’associazionismo era fuori questione, con il Dopoguerra le no profit sono tornare a registrarsi come quando c’era il cancelliere di ferro. Un modello decisamente superato.