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Whatever it takes per vincere

Gli alleati dell'Ucraina a Ramstein per capire a cosa sono disposti per respingere Putin

David Carretta

L’alleanza è pronta a fare tutto quanto è necessario perché l’Ucraina vinca la guerra? L’impegno esemplare dei paesi piccoli e le esitazioni tedesche. Scholz pretende garanzie americane prima di inviare i Leopard a Kyiv

Bruxelles. Le esitazioni del cancelliere tedesco, Olaf Scholz, sulla fornitura di carri armati Leopard rischiano di occultare la reale posta in gioco della riunione della coalizione che sostiene Kyiv, che si terrà oggi nella base americana di Ramstein, in Germania: l’alleanza è pronta a fare tutto quanto è necessario perché l’Ucraina vinca la guerra? O si accontenterà di una guerra di attrito stile Prima guerra mondiale, con fronti che si spostano di poche centinaia di metri come a Bakhmut, sperando di logorare Vladimir Putin, quando a essere logorata è l’Ucraina perché il tempo, la distruzione economica e le sofferenze umane giocano a favore del presidente russo? Dalla riconquista della città di Kherson, sempre più leader europei hanno abbandonato l’obiettivo “non permettere alla Russia di vincere la guerra” e si sono messi a dichiarare che il nuovo obiettivo è “la vittoria dell’Ucraina”. Ma alle parole non sono seguiti i fatti. O meglio le armi. Ne servono molte di più, molto più avanzate e molto più velocemente. I Leopard 1 e 2 di fabbricazione tedesca, per i quali serve l’autorizzazione di Scholz all’esportazione diretta o riesportazione da paesi terzi, sono essenziali ma non sufficienti. “Non ha senso girarci intorno o limitarsi. Questa guerra sarà decisa sul campo di battaglia”, ha spiegato mercoledì l’ex premier finlandese, Alexander Stubb: “L’approccio dell’occidente agli aiuti finanziari e militari (armi) all’Ucraina dovrebbe seguire l’approccio di Mario Draghi nella crisi dell’euro: whatever it takes”.

 

“Lanciamo un appello a tutti gli stati partner che hanno già fornito o pensano di fornire un aiuto militare, chiedendo loro di rafforzare considerevolmente il loro contributo”, hanno detto ieri i ministri ucraini della Difesa e e degli Esteri, Oleksii Reznikov e Dmitro Kuleba. L’Estonia ha approvato il più importante pacchetto dall’inizio della guerra: obici, munizioni, lanciagranate. Ma il paese è microscopico e, nonostante abbia speso finora l’1 per cento del pil in aiuti militari, l’ultimo pacchetto vale 113 milioni di euro. Altri paesi con capacità ridotte – Polonia, Lituania, Lettonia – stanno mettendo quello che possono. La Svezia ha annunciato un pacchetto da 400 milioni con  blindati da combattimento e sistemi di artiglieria avanzati Archer. La Danimarca donerà a Kyiv tutti i 19 Caesar che ha. La necessità più urgente sono i carri armati da combattimento. Il Regno Unito ha mostrato l’esempio promettendo 14 Challenger, un numero troppo limitato per fare la differenza. Secondo alcuni esperti, all’Ucraina servono come minimo 200 carri armati da combattimento. Di Leopard tedeschi ce ne sono circa duemila in una decina di eserciti europei. Nelle prime settimane di gennaio si era diffuso un certo ottimismo dopo che Francia, Germania e Stati Uniti avevano promesso carri armati leggeri (Amx-10Rc, Marder e Bradley). Mercoledì è tornato il pessimismo, quando la Germania ha fatto sapere che acconsentirà all’esportazione e riesportazione dei Leopard solo se gli Stati Uniti accetteranno di fornire i loro carri armati Abrams, anche se dal punto di vista militare ha poco senso perché più complicati da rifornire e mantenere. Se, come ha detto il premier svedese Ulf Kristersson, “la vittoria dell’Ucraina è esistenziale per l’Europa e per il mondo”, l’occidente è lontano dal whatever it takes.

 

“Vogliamo tutti che la guerra finisca ma la Russia ha inviato segnali chiari che continuerà la sua aggressione”, ha spiegato la premier estone, Kaja Kallas. “La Russia ha un’enorme quantità di uomini e continuerà a mobilitarne centinaia di migliaia. Ha anche aumentato la produzione e la capacità della sua industria bellica. Ecco perché l’intera comunità transatlantica deve fare di più e dare aiuti militari su scala e velocità molto più ampie per assicurare la vittoria dell’Ucraina”, ha detto Kallas. Secondo Handelsblatt, la tedesca Reinmetall sarebbe pronta a consegnare quest’anno più di cento carri armati: basta il via libera di Scholz. Ma per la difesa e la vittoria dell’Ucraina servono anche altri sistemi di difesa missilistica (Francia e Italia negoziano da mesi la consegna di una batteria Samp/T), elicotteri e aerei da combattimento (la fornitura di Mig-29 dalla Slovacchia è in discussione dall’inizio della guerra) e una quantità enorme di munizioni (l’industria militare occidentale non è stata ancora adeguata per tenere il ritmo nonostante gli arsenali si stiano svuotando). 

 

Il whatever it takes sull’Ucraina richiede leadership politica e un minimo di rischio. Gli occidentali finora hanno limitato la loro assistenza per timore di un conflitto diretto con la Russia e di una risposta nucleare da parte di Putin. In vista di Ramstein, il Cremlino ha ribadito le solite vecchie minacce di escalation. La paura sembra all’origine della prudenza di Scholz, che pretende uno scudo americano sui Leopard, condannando l’Europa al ruolo di gregario degli Stati Uniti. Tocca a Joe Biden indossare i panni di Mario Draghi. Secondo il New York Times, la sua Amministrazione avrebbe cambiato i calcoli del bilancino sugli armamenti. La minaccia nucleare russa c’è, ma è meno probabile. È il momento di fornire le armi per un’offensiva contro il corridoio di terra che passa da Mariupol e Melitopol collegando la Crimea alla Russia. Gli Stati Uniti stanno valutando se inviare missili che permettano di colpire direttamente la Crimea, base per i militari e le armi russi usati nel sud dell’Ucraina. Tuttavia l’obiettivo di Biden non sarebbe la vittoria di cui parla Volodymyr Zelensky, che ieri ha ribadito di voler riconquistare la Crimea. Sarebbe una vittoria più limitata: attaccare la penisola servirebbe a respingere la Russia sulle posizioni pre 24 febbraio 2022.

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