i conti del cremlino

Mobilitare costa. Gli effetti sull'economia di una seconda chiamata alle armi di Putin

Luciano Capone

Il Cremlino si prepara a una nuova "mobilitazione", mentre la Banca centrale russa avvisa sull'impatto negativo della prima. Carenza di manodopera, calo della produttività, inflazione, emigrazione e declino demografico

Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, a novembre, aveva negato la possibilità di un’altra mobilitazione. Visti i precedenti, le parole non sono credibili. Il governo ucraino la pensa all’opposto: secondo il ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, è imminente da parte russa la chiusura dei confini per gli uomini e una seconda ondata di chiamata alle armi. In questo senso può essere letto un appello di un autoproclamato gruppo di vedove di militari russi che chiede “al nostro presidente, Vladimir Vladimirovich Putin, di consentire all’esercito russo di effettuare una mobilitazione su larga scala – dice il messaggio diffuso da un canale nazionalista –. Chiediamo al nostro Comandante supremo di vietare la partenza di uomini in età militare dalla Russia. E abbiamo il pieno diritto morale di farlo: i nostri mariti sono morti proteggendo questi uomini, ma chi ci proteggerà se scappano?”.

 

La guerra non sta andando bene e la “mobilitazione parziale” annunciata a settembre si è rivelata un fallimento, o comunque non adeguata né sufficiente a rilanciare l’offensiva russa. I nuovi coscritti sono impreparati, male equipaggiati e obiettivi facili dell’esercito ucraino, come dimostra il recente bombardamento di un alloggio militare a Makiivka, che ha fatto tantissimi morti tra i soldati russi (89 stando ai numeri del ministero della Difesa di Mosca, 400 secondo Kyiv).

 

Ma il problema dei russi mandati al fronte allo sbaraglio, oltre che militare, per Putin è anche economico. Vuol dire sottrarre all’economia ulteriore forza lavoro, in una fase in cui le spese militari aumentano e le entrate petrolifere sono in calo. La “mobilitazione” di un’ampia fascia della popolazione ha già avuto un effetto negativo immediato sul pil e uno più strutturale di medio termine. Solo la prima ondata di 300 mila coscritti rappresenta circa l’1 per cento dei 33 milioni di uomini russi tra i 20 e i 55 anni, quindi in età da lavoro. Spostarli dalle dalle catene di montaggio in Russia alle trincee in Ucraina ha ovviamente conseguenze dirette sulla produzione, che diversi economisti stimano tra -0,25 e -0,5 punti di pil. A questo però vanno aggiunti altri effetti negativi sul mercato del lavoro e sulla demografia.

 

In Russia ci sono state due ondate migratorie, la prima dopo lo scoppio della guerra a febbraio e la seconda dopo l’annuncio della “mobilitazione parziale” a settembre. Come ricostruisce il quotidiano russo The Bell, secondo le stime più conservative, in questo doppio esodo oltre 500 mila russi hanno abbandonato il paese. Quasi un altro 2 per cento di forza lavoro. In questo caso, se ne sono andate le persone che avevano maggiore possibilità di lavorare a distanza o di trovare un’occupazione all’estero. Secondo il ministro russo degli Affari Digitali, Maksut Shadayev, circa 100 mila specialisti IT hanno lasciato la Russia e non sono più tornati (anche se la maggior parte continua a lavorare per aziende russe). Dal punto di vista demografico, invece, lo specialista russo Mikhail Denisenko stima 25 mila nascite in meno nel 2023 per il solo effetto della “mobilitazione parziale”. Mentre il suo collega demografo Igor Efremov prevede un calo del tasso di fecondità a 1,3 figli per donna (da 1,5), uno dei livelli più bassi al mondo, portando le nascite a 1,2 milioni, il livello più basso della storia della Russia moderna.

 

Delle conseguenze per l’economia è consapevole la Banca centrale russa, che aveva indicato già a ottobre le ricadute negative sia sulla fiducia di consumatori e imprese sia sull’inflazione. L’istituto guidato da Elvira Nabiullina è tornato a parlare del tema a metà dicembre, sottolineando che “la capacità di espandere la produzione nell’economia russa è ampiamente limitata dalle condizioni del mercato del lavoro. La carenza di manodopera sta aumentando in molti settori a causa degli effetti della parziale mobilitazione. In queste condizioni, la crescita dei salari reali sta accelerando in questi settori e potrebbe superare la crescita della produttività”. E in un contesto in cui la produttività tende a ridursi a causa delle sanzioni occidentali che colpiscono le importazioni tecnologiche e di bassa disoccupazione (3,9 per cento), la mancanza di manodopera ha un effetto inflattivo. “Gli effetti pro-inflazione – scrive la Banca centrale russa – potrebbero essere più pronunciati rispetto allo scenario di base a causa di una riduzione della forza lavoro e di un cambiamento nella struttura occupazionale. Un’altra fonte di rischio pro-inflazione potrebbe essere una crescita accelerata dei salari reali che supera la crescita della produttività”.

 

Questi effetti, ovviamente, si amplificherebbero con un’ulteriore mobilitazione. A guidare le scelte di Putin saranno il campo di battaglia e la logica militare, ma l’invio al fronte di altre centinaia di migliaia o milioni di russi avrà comunque delle conseguenze sull’economia che non potranno essere ignorate.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali