Il veleno di Tbilisi

Saakashvili, simbolo della lotta alla Russia, è in pericolo

Micol Flammini

Zelensky chiede di curarlo e Bruxelles è stata molto chiara: se succederà qualcosa all’ex presidente georgiano, il paese potrà scordarsi una futura adesione all'Ue. Il governo la sta mettendo a rischio

Mikheil Saakashvili è stato arrestato nell’ottobre del 2021, quando tornò in Georgia per sostenere il suo partito, il Movimento nazionale unito. Le accuse contro di lui riguardavano l’abuso d’ufficio e le violenze ordinate contro i manifestanti nel 2007, ma dalla fine della sua presidenza, la politica georgiana ha continuato a girare attorno alla sua figura, che in queste settimane appare sempre più malata. Saakashvili ha raccontato di venire ripetutamente picchiato in carcere e di essere stato avvelenato. Un avvocato americano gli ha fatto visita, ha visto il referto delle sue analisi e ha confermato che ci sono tracce di mercurio e arsenico nella sue unghie e nei suoi capelli, che lasciano pensare che il politico abbia subito un avvelenamento da metalli pesanti. L’avvocato ha parlato anche dei segni di violenze sul suo corpo, lividi e tagli, e ha descritto un uomo spaventato e stanco. La  vicenda di Saakashvili  è quella di un europeista esuberante, che ha preso in mano un paese con forti problemi di corruzione, ha sognato di modernizzarlo e ha messo  in pratica le sue riforme con metodi discutibili. E’ riuscito  a farsi rieleggere una seconda volta e al suo secondo mandato ha affrontato  una guerra contro il vicino prepotente: la Russia. Nel 2008 al Cremlino c’era già Vladimir Putin, molto infastidito da queste smanie filoccidentali di Saakashvili che chiedeva adesioni all’Ue e alla Nato, invitava leader stranieri e non lui e prometteva di risolvere la questione delle due repubbliche separatiste dell’Ossezia del sud e dell’Abcasia, che erano e sono le leve di influenza della Russia in Georgia. Per fermare questo presidente istrionico, ma non  attore, la Russia invase la Georgia, dichiarando di muoversi in difesa delle due regioni che subivano le violenze dei georgiani. 

 

La mediazione fu affidata al presidente francese Nicolas Sarkozy che si sentì dire da Putin che desiderava vedere Saakashvili “appeso per le palle”. La guerra fu rapida, dolorosa, e Mosca tornò nelle sue repubbliche. Il destino politico del presidente georgiano non fu modellato da quel conflitto, che tutti i georgiani sapevano bene quanto fosse una responsabilità russa, ma dai suoi metodi da riformatore. L’avventura politica finì nel 2013 e Saakashvili nel frattempo aveva sentito che da occidente stava arrivando un vento di rivoluzione europeista, che gli ricordava la sua di rivoluzione, quella delle rose, dopo la quale era stato eletto presidente per la prima volta nel 2003. Era l’Ucraina, nazione che conosce molto bene, in cui ha studiato. A Kyiv ricevette la cittadinanza ucraina e perse quella georgiana, il nuovo presidente arrivato con la rivoluzione, Petro Poroshenko, lo nominò governatore di Odessa e tutto andò bene fino a quando non ci furono liti, inseguimenti, ripicche, accuse di falso europeismo. Poroshenko gli tolse la cittadinanza e per qualche anno Saakashvili è stato apolide, ora è tecnicamente un cittadino ucraino: è stato proprio Volodymyr Zelensky a dargli la cittadinanza. Zelensky ha chiesto in questi giorni la possibilità di far uscire Saakashvili dal carcere georgiano e di curarlo in Ucraina. La sopravvivenza dell’ex presidente sta diventando una questione internazionale, con l’Unione europea che ha detto con chiarezza che se gli succederà qualcosa, la Georgia può scordarsi ogni possibilità di entrare in Europa.

 

Saakashvili, oltre a essere il centro della politica georgiana, che si divide tra chi è contro di lui e chi è con lui, è anche un simbolo di resistenza alla Russia. Il governo del premier Irakli Garibashvili è accusato di voler mantenere buoni rapporti con Mosca nonostante tutto e di voler cancellare in ogni modo l’eredità di Saakashvili. I georgiani, da quando la Russia ha invaso Kyiv, hanno riempito  il paese di bandiere ucraine ed europee, e non accettano che il pericolo a cui il governo sta esponendo Saakashvili possa costituire un ostacolo alla candidatura all’Ue. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.