l costo della guerra sale non perché sosteniamo l'Ucraina ma perché Putin la distrugge

Paola Peduzzi

Il sostegno dell’America a Kyiv è decisivo: ha già permesso di infliggere un danno alla capacità di Mosca di minacciare l’Europa e di aprire nuovi conflitti e ha ridotto grandemente le ambizioni putiniane di una Grande Russia

Milano. Il sostegno degli americani alla guerra in Ucraina si sta affievolendo. Non sta crollando, come dicono (e sperano) i repubblicani che da tempo parlano di un “assegno in bianco” dato dall’Amministrazione Biden al governo di Volodymyr Zelensky che deve essere rivisto e magari sospeso, ma sta calando. Secondo una rilevazione del Chicago Council on Global Affairs, più di due terzi degli intervistati continuano a essere favorevoli a rifornire Kyiv di armi e sostegno economico; circa tre quarti sono favorevoli ad accogliere i rifugiati ucraini e a sanzionare la Russia; è nel mondo conservatore che il sostegno è passato dall’80 per cento di marzo al 68 di luglio al 55 per cento di oggi. Al ducentottantasettesimo giorno di guerra, mentre Vladimir Putin bombarda indefesso l’Ucraina ogni giorno su tutto il territorio, il 47 per cento degli intervistati sostiene che Washington dovrebbe spingere Kyiv a raggiungere presto un accordo di pace.

 

Ieri il Cremlino ha detto, come se ce ne fosse bisogno, che “per quanto riguarda la prospettiva di negoziati, per ora non la vediamo. Lo abbiamo ripetuto più volte”. Cosa deve accadere perché la vediate?, ha chiesto un giornalista. “Gli obiettivi dell’operazione speciale devono essere raggiunti”, ha risposto il portavoce di Putin, Dmitri Peskov: gli obiettivi sono mantenere il controllo del 18 per cento di territori ucraini invasi e occupati illegalmente dalla Russia e accelerare la catastrofe umanitaria ucraina bombardando e distruggendo tutto quello che l’esercito di Putin non è riuscito a conquistare. Mosca non vede “la prospettiva” dei negoziati perché non li vuole affatto, questi negoziati: non vuole fermare l’aggressione e anzi spera proprio nello sgretolarsi dell’appoggio internazionale all’Ucraina – non è un caso che a dargli speranza siano certi repubblicani americani d’ispirazione trumpiana che sono filoputiniani.

 

Il sostegno dell’America di Joe Biden all’Ucraina è decisivo: è stato appena annunciato il 25esimo pacchetto di aiuti militare e umanitario dall’agosto del 2021 che vale 400 milioni di dollari (comprende ulteriori armi, munizioni ed equipaggiamenti) e che porta il valore totale dell’assistenza all’Ucraina a quasi 20 miliardi di dollari da quando il presidente Biden è entrato in carica. Se la deputata trumpiana Marjorie Taylor Greene dice che “dobbiamo fermare Zelensky che ci chiede soldi e armi dei contribuenti americani quando ci sta trascinando nella Terza guerra mondiale” (fermare Zelensky, non Putin: il mondo alla rovescia), uno studio del Center for Strategic and International Studies (Csis) sostiene: “Gli Stati Uniti hanno già ottenuto grandi benefici strategici aiutando l’Ucraina e questi aiuti sono uno dei migliori investimenti che l’America può fare per difendere la propria sicurezza”. Basterebbe quest’unica frase, poi argomentata con i dati, per definire il dibattito sull’interesse nazionale americano: lo si difende meglio non isolandosi e spendendo i soldi disponibili soltanto per le politiche domestiche, ma facendo investimenti che preservano la sicurezza del paese.

 

“L’impatto dell’aiuto all’Ucraina”, continua lo studio del Csis, che è un centro studi bipartisan  fondato nel 1962, “ha un impatto trascurabile sulla spesa federale e sull’economia americana”: il budget per la sicurezza nazionale è di oltre 800 miliardi di dollari, l’economia cresce in modo stabile, assieme ai redditi personali. “Concentrandosi soltanto sul prezzo dell’aiuto all’Ucraina invece che sul valore di quel che permette di acquistare si ignora il fatto che i costi di questo aiuto sono bassi in termini di strategia generale”, scrive il Csis, che in realtà fa un lungo elenco di quel che l’approccio esclusivo ai costi e non ai benefici ignora: l’impegno morale che gli Stati Uniti devono avere nei confronti di ogni altro paese che vuole la libertà; il fatto che la Russia sta già investendo una parte molto più grande del suo pil per combattere l’Ucraina rispetto a quella investita dagli americani e dai loro partner; questo aiuto ha già permesso all’Ucraina di infliggere un danno alla capacità di Mosca di minacciare l’Europa e di aprire nuovi conflitti e ha ridotto grandemente le ambizioni putiniane di una Grande Russia; i benefici del messaggio che gli aiuti all’Ucraina hanno dato agli alleati (e, aggiungiamo, agli altri regimi) sulla forza e la risolutezza degli Stati Uniti; i benefici collettivi dell’unità ritrovata sia dell’Unione europea sia della Nato.

 

Il prezzo dell’aiuto all’Ucraina è destinato a salire perché Putin continua a distruggere il paese e la ricostruzione sarà lunga e costosa: dire oggi che l’Ucraina dovrebbe imparare ad arrangiarsi da sola “è senza senso”, scrive il Csis, perché è evidente che in questo momento il paese in guerra da dieci mesi ha dato fondo alle sue riserve e non ha la possibilità di difendersi da solo. Ma quel che conta in questa analisi è che al resto del mondo conviene sostenere l’Ucraina nel respingere l’attacco russo, perché i benefici sono maggiori dei costi e perché la minaccia globale di Putin viene così ridimensionata e, ci si augura, annullata. E il prezzo di questa guerra per l’occidente sale non perché continuiamo a sostenere l’Ucraina, ma perché Putin continua a distruggerla, l’Ucraina. 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi