Forze di sicurezza israeliana a Gerusalemme (LaPresse)

Editoriali

Le scelte obbligate di Israele dopo gli attentati

Redazione

Gli attacchi impongono una nuova conoscenza del nemico. Cosa è cambiato

Seconda Intifada è stato il termine più utilizzato per descrivere gli attacchi che mercoledì hanno causato la morte di una persona e almeno venti feriti a Gerusalemme. La sensazione che si faticherà a ripristinare il senso di sicurezza nelle strade è stato acuita ieri dalla notizia di un presunto attentato a Beersheba e dell’attacco di hacker iraniani che hanno violato le telecamere installate a Gerusalemme da una grande agenzia di sicurezza e hanno pubblicato i video dell’attentato. Gli hacker erano già noti con il nome Moses Staff e all’inizio di quest’anno avevano pubblicato conversazioni private rubate da un cellulare della moglie del capo del Mossad, David Barnea.

 

La consapevolezza di vivere tra  i nemici è un punto fermo della politica israeliana, ma cosa succede quando i nemici cambiano? Secondo l’analista esperto di difesa Yoav Limor, gli attentati di mercoledì indicano che gli esplosivi potrebbero provenire da un laboratorio in Giudea e Samaria, di cui la sicurezza israeliana non era al corrente: trovarlo e scoprire chi ci opera è il primo obiettivo. Ci sono almeno quattro sospetti: Hamas, che ha invitato a compiere attacchi in Giudea e Samaria; il Jihad islamico, che ha fatto altrettanto; il Fronte per la liberazione della Palestina, che cerca  di riguadagnare importanza e il Tanzim, una propaggine di Fatah. In quest’ultimo caso, Israele dovrebbe fare pressione sull’Autorità palestinese, che è nel bel mezzo di cambiamenti e questo è uno dei punti chiave per capire la nuova situazione dello stato ebraico.

 

Quello che ha permesso a Israele – e ai palestinesi  –  di fare passi avanti in materia di sicurezza era proprio la conoscenza del nemico e la collaborazione di intelligence. Se tutto questo viene meno, Israele dovrà   aumentare la presenza militare in alcune aree dove potrebbe rinascere, se non è già rinato, il terrorismo. Si torna indietro, a una situazione che Israele ha cercato di evitare, ma che con un’ondata di attentati che da marzo riporta l’insicurezza dove si era installata una cauta e forzata fiducia, potrebbe essere inevitabile. 

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