Cosa succede se si svuotano le scorte di armi degli alleati di Kyiv

Micol Flammini

Stati Uniti e paesi Nato studiano come rafforzare gli arsenali tra aumento della produzione e proposta di acquisti congiunti

L’Ucraina ha recuperato circa il 55 per cento del territorio che da febbraio era stato occupato dall’esercito russo, continua a portare avanti la sua offensiva lungo tutta la linea del fronte per liberare quel che resta nelle mani di Mosca e che equivale a circa un quinto dell’intera nazione. I soldati di Kyiv sono stati capaci di azioni straordinarie, di tenacia e resistenza, gli alleati li hanno sostenuti e riforniti e se non sarà il coraggio a mancare agli ucraini nei prossimi mesi, gli alleati iniziano però a fare i conti con quel che resta nei loro arsenali per poter continuare ad aiutare. La scorsa settimana la Cnn aveva pubblicato un’indiscrezione, che proveniva da fonti del Pentagono, sull’esaurimento  delle scorte in eccesso di missili antiaereo Stinger e delle munizioni per l’artiglieria. Gli americani hanno contribuito più di chiunque altro, fornendo  i due terzi degli aiuti che sono arrivati a Kyiv, attingendo  dal surplus, senza intaccare la capacità militare del loro esercito. 

 

Il logoramento degli arsenali è in linea con le scelte fatte dai paesi dell’Alleanza atlantica dalla fine della Guerra fredda, quando hanno deciso di investire in armi sempre più sofisticate, efficienti e anche costose, tralasciando l’equipaggiamento convenzionale. Era  la lezione  tratta  dalle guerre precedenti a quella in Ucraina ed è stata accolta come scusa anche da alcuni leader politici  desiderosi di diminuire le spese militari per concentrarsi su altre politiche. L’invasione russa non soltanto ha portato la guerra ai confini della Nato, ma ha anche mostrato come l’utilizzo dell’artiglieria possa rimanere centrale in un conflitto. Durante i combattimenti, russi e ucraini sparano, rispettivamente, 60.000 e 20.000 proiettili nei giorni più intensi e 20.000 e 7.000 in quelli meno. Finora gli Stati Uniti hanno consegnato all’Ucraina circa un milione di proiettili, oltre a 50.000 missili anticarro, tra cui 8.500 Javelin, 3.000 droni e 1.600 missili antiaereo Stinger. 

 

Da questa estate il Pentagono ha aumentato le commesse per ricostituire il surplus dei suoi arsenali, l’esercito ha firmato un contratto con la Lockheed Martin da oltre 500 milioni di euro, ma ci sono delle limitazioni, perché secondo alcuni analisti, né la Lockheed Martin né la Raytheon sarebbero in grado di aumentare più di tanto la loro produzione: a causa del calo degli ordini militari negli anni sono state ridotte anche le linee di produzione. Per ovviare alla mancanza di proiettili, gli Stati Uniti hanno cercato di acquistarne 100 mila  da produttori sudcoreani da mandare direttamente in Ucraina, ma ne è sorta una controversia con Seul che non vuole consegnare armi a un paese in guerra. Il colonnello Mark Cancian in un report per il Center for strategic and international studies ha scritto che per ricostituire le loro riserve gli Stati Uniti avranno bisogno di circa quattro anni, e una soluzione sarebbe duplicare le catene di produzione. La penuria non è immediata e non riguarda tutti i settori, ma gli americani iniziano a pensarci, sollevati in parte dalla consapevolezza che la Russia non si trova in una posizione migliore: secondo alcune analisi avrebbe consumato circa il 70 per cento dei suoi arsenali e può contare su un numero inferiore di alleati. 

 

Gli europei finora hanno contribuito con minore intensità agli sforzi bellici dell’Ucraina, hanno partecipato al rifornimento, ma hanno lasciato agli americani l’onere più grande. Sono stati soprattutto i leader politici dei paesi dell’Unione europea a credere di poter disinvestire in armamenti e sono stati attanagliati all’inizio dell’invasione da un forte dubbio: lasciare le armi nei propri arsenali temendo un allargamento della guerra o aiutare in modo attivo l’Ucraina scommettendo sulla capacità dei soldati di Kyiv di bloccare i russi. Per la maggior parte dei casi ha prevalso la seconda opzione, ma a rilento i paesi europei stanno pensando a irrobustire le scorte dei loro arsenali. La Francia è un esempio e i produttori di armi hanno fatto sapere al Monde che per quanto sia arrivata la richiesta di produrre nuove armi non sono stati fatti per ora grandi investimenti e senza l’assicurazione di “un carico consistente” non è sempre possibile avviare la produzione. Anche l’Unione europea è consapevole della necessità di ricostituire le scorte di armi, senza mettere in difficoltà gli stati né l’Ucraina. Per questo il commissario per il mercato interno, Thierry Breton, e l’Alto commissario per la politica estera, Josep Borrell, hanno proposto un acquisto congiunto di armi, che replichi il metodo utilizzato dall’Unione europea per acquistare i vaccini. Breton e Borrell vogliono prevenire una corsa agli armamenti interna che si tradurrebbe in un aumento vertiginoso dei prezzi, concentrazione della domanda e carenza di forniture. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.