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Grand Guignol moscovita

A Mosca si disgrega il potere di comando di Putin, autocrate in disgrazia

Giuliano Ferrara

Tecnologie occidentali, sanzioni e coraggio combattente dell’esercito ucraino hanno inferto un colpo decisivo alle truppe della Russia che sono scappate da Kherson. Ora il cuore dello stato e del potere russo vacilla. Indizi

Che cosa stia davvero succedendo in Ucraina, dopo la fuga russa da Kherson (non è stata una ritirata, è stata una fuga), dopo la ripresa dei bombardamenti su vasta scala contro Kyiv e altri centri e infrastrutture, dopo le notizie di ulteriori avanzate sul fronte sudorientale della guerra oltre Kherson, difficilissimo a dirsi. Nebbia. E’ però assodato che tecnologie occidentali, sanzioni e coraggio combattente dell’esercito ucraino hanno inferto un colpo quasi decisivo all’armata d’invasione di Putin e allo schema strategico con cui la guerra si era iniziata nel febbraio scorso.

         

Due elementi depongono a favore della precipitazione di una seria crisi del potere russo, di Putin e del suo circolo di comando. Il primo è di grande politica internazionale. Nonostante oscillazioni cinesi sulla stesura del documento finale del G20, la firma di Xi sotto il pronunciamento unanime ostile all’uso bellico del nucleare ha il sapore di una callida apertura alla crisi del Cremlino, segnandone l’isolamento. Il rischio nucleare era il compagno segreto di tutta l’avventura ucraina, ed era brandito come segnacolo di resa alla prepotenza russa da tutti gli alleati, anche i più frivoli e chiacchieroni, dell’armata d’invasione. Che questo segnacolo sia ammainato dopo la liberazione di Kherson, dopo l’annuncio del recupero di metà del territorio invaso, dopo il sostanziale fallimento della messinscena dell’annessione del Donbas, in assenza inspiegabile di Putin tra gli interlocutori, è molto significativo.

 

Putin è privato della sua estrema minacciosa risorsa, che è sempre parsa un bluff a chi ragionava a occhi aperti ma che era comunque una variante apocalittica all’ombra della quale le operazioni speciali di tentata annessione e di distruzione dell’identità del paese invaso stavano procedendo.

         

Ma non basta. Un letterato insigne, e grande traduttore dal russo, un ceco-francese di origini russe, georgiane e polacche, André Marcowicz, racconta e mette a fuoco il secondo elemento: la disgregazione del potere unico di comando dell’autocrate in progressiva disgrazia, il dissolversi delle regole minime di coesione di uno stato dittatoriale e delle sue ambizioni neoimperialistiche. L’ideologo Dugin ha usato una metafora del celebre antropologo James Frazer in un post, subito cancellato ma intanto reso noto, contro Putin. Un apologo piuttosto chiaro: la comunità si sacrifica per l’albero della pioggia, lo sacralizza, ma se non piove si rivolta contro l’albero e lo abbatte. Il cuoco di Putin, Evgenij Prigozhin, fondatore del gruppo Wagner, si è permesso anche di più, se vogliamo. Ha sputtanato chilometriche smentite di stato sull’interferenza nelle elezioni americane, vantandosi di averle orchestrate e promettendo nuovi capitoli. Ha imposto l’arruolamento di criminali incarcerati nell’esercito, disponendo a suo piacimento di uno strumento cruciale come quello della mobilitazione, e ha diffuso un video in cui uno di loro, arreso agli ucraini che lo avevano catturato e poi rapito dai wagneriani, viene ucciso a sassate, con il cuoco che commenta l’efferata crudeltà della punizione con queste parole: “Preferirei guardare questa storia a teatro. Per quanto riguarda il lapidato, lo spettacolo mostra che non ha trovato benessere e felicità in Ucraina, piuttosto ha trovato gente non dotata di bontà ma giusta. Mi pare che il film possa titolarsi così: ‘A cane, morte da cane’. Messa in scena impeccabile, si guarda col fiato sospeso. Spero che durante le riprese nessun animale sia stato ferito”.

         

Il Grand Guignol di Dugin e Prigozhin si collega, nelle corrispondenze di Marcowicz, alle notizie che si moltiplicano sul totale invasamento anarchico delle truppe di occupazione e di invasione, sulla viltà della catena di comando, rimaneggiata brutalmente più volte, e la forsennata malignità di sorte toccata ai soldati russi e da questi fatta toccare a civili e soldati ucraini. Il fatto che si rendano pubbliche prese di posizione selvagge, e che oggi avvenga quello che non era mai avvenuto quando gli eurasiatici o i wagneriani fiancheggiavano la altrettanto selvaggia guerra siriana di Putin, dice che il cuore dello stato e del potere russo è periclitante, se non già spento. La Nato con le sue catene informative e le sue armi di precisione potrebbe mettere la parola fine all’invasione in poco tempo, sostenendo più a fondo l’esercito ucraino, mentre centellina gli sforzi bellici per non affacciarsi su un vuoto di potere che sa di ignoto e di temibile dal punto di vista dell’equilibrio generale: insomma, ci sono voci lucide e informate che danno per finita l’avventura cominciata nel febbraio. E quando un’avventura finisce non si sa come va a finire.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.