Foto di Vyacheslav Prokofyev, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP, via LaPresse 

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Tutti i problemi di Putin nel “patto del gas” con Erdogan

Federico Bosco

Mosca punta sul TurkStream, il gasdotto da 31,5 miliardi di metri cubi. Ma i vantaggi reali del Cremlino, che usa il gas come strumento geopolitico per costruire relazioni economiche, restano un mistero

Giovedì ad Astana si è tenuto un colloquio tra Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan in cui il leader russo ha aperto all’idea di fare della Turchia un “hub internazionale” per il trasporto di gas naturale verso l’Europa, che farebbe diventare Ankara “la piattaforma per determinare il prezzo del gas”. Il giorno prima Putin aveva detto che la Russia è pronta a reindirizzare i flussi dei gasdotti danneggiati del Nord Stream (che però erano già fermi) verso la Turchia rendendola così “la via principale per la fornitura all’Europa”. Il problema è che non è chiaro chi dovrebbe comprare questo gas, né il vantaggio per la Russia di un’operazione che darebbe alla Turchia un ruolo di corridoio di riferimento per le forniture alternative a quella russa.

 

Mosca punta a un aumento della portata del TurkStream, gasdotto da 31,5 miliardi di metri cubi all’anno che, attraverso il Mar Nero, si connette al territorio turco-europeo della Tracia orientale per unirsi ai gasdotti che riforniscono Bulgaria-Serbia-Ungheria-Austria. Non è la prima volta che Putin parla di espandere la cooperazione sul gas con la Turchia. Il progetto South Stream del 2007 prevedeva la costruzione di un gasdotto da 64 miliardi di metri cubi all’anno per connettere Russia e Bulgaria. Al progetto partecipava anche l’Eni, ma fu tutto annullato nel 2014 dopo l’annessione della Crimea per il venir meno del permesso della Bulgaria e sostituito da Gazprom proprio con il TurkStream, inaugurato nel 2020. 

 

Sei mesi dopo però Russia e Germania chiusero l’accordo per la costruzione del Nord Stream 2, che aggiungeva un volume di altri 55 miliardi di metri cubi all’anno ai 55 del Nord Stream 1. A quel punto la capacità del progetto TurkStream venne dimezzata a 31,5 miliardi di metri cubi, e oggi ne trasporta meno della metà, 14 miliardi di metri cubi. Erdogan vide così sfumare il sogno di un hub turco per lo scambio di gas russo verso l’Unione europea, mentre Gazprom Export lanciava la sua piattaforma per vendere il gas in Europa da consegnare principalmente tramite i due Nord Stream. 

 

Erdogan quindi non può che essere entusiasta di un piano per dare alla Turchia il ruolo desiderato di snodo tra economie e continenti, è dalla fine degli anni ’80 che Ankara cerca di diventare un hub del gas e dopo trent’anni i turchi hanno una nuova occasione e le infrastrutture che gli permettono di diventare il corridoio di transito per il gas russo, azero, iraniano, iracheno e dell’Asia centrale; e potenzialmente per il gas di Egitto, Israele, Libano e Cipro.

 

Come tutto ciò possa fare il gioco del Cremlino, che da sempre usa il gas come strumento geopolitico per costruire relazioni economiche basate sulla dipendenza dai gasdotti e non sull’accesso a un mercato diversificato, appare come un mistero. È dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina che la Russia minaccia i governi europei riducendo o manipolando i flussi di gas, e imponendo condizioni come il pagamento in rubli mentre si vanta di avere a disposizione la facile alternativa di un pivot asiatico per dirottare i flussi verso l’immenso mercato cinese. Adesso, però, è come se la Russia stesse cercando un modo per costringere o comunque convincere gli europei a continuare a comprare il suo gas, invece di correre alla realizzazione dei progetti infrastrutturali, costosi e dai tempi linghi, necessari a dirottare i flussi di gas verso la Cina o  altri paesi (quali non è chiaro).

 

Anche secondo gli esperti russi consultati da Kommersant, (il giornale del mondo economico russo), è improbabile che i paesi europei siano pronti ad aumentare gli acquisti di gas russo, mentre si dubita che Gazprom sia in grado di raddoppiare il TurkStream. I tubi del gasdotto esistente infatti sono stati posati dalla società svizzera Allseas, ora inaccessibile a causa delle sanzioni, mentre le navi russe Akademik Chersky e Fortuna che si sono occupate dei lavori finali del Nord Stream 2 hanno operato a una profondità inferiore mettendoci molto più tempo del precedente appaltatore, ancora la Allseas, che interruppe i lavori nel 2019 dopo le sanzioni statunitensi. 

Interpretare i tormenti del Cremlino è sempre più complicato, o forse, le cose sono esattamente come sembrano: Putin ha reciso legami che erano più indispensabili alla Russia che ai paesi europei, e ora se ne sta rendendo conto.

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