ESCLUSIVA ITALIANA

L'impero russo del terrore spiegato dal braccio destro di Zelensky

Andriy Yermak

In Russia, quasi un quarto della popolazione non ha strutture fognarie, ma i missili sono considerati una priorità. Putin insegna ai suoi cittadini il culto della morte e il terrorismo, scrive il capo dell’Ufficio del presidente ucraino

Se sembra un’anatra, nuota come un’anatra, starnazza come un’anatra, è molto probabile che la propaganda russa sostenga che questa creatura sia una tigre. Nel mondo in cui vivono i russi oggi, una tigre può benissimo avere ali, becco e pinne, se il Cremlino lo desidera. Ma in questa realtà sono possibili cose ben più gravi. In Russia, quasi un quarto della popolazione non ha strutture fognarie, ma i missili sono considerati una priorità.


In Russia, i suoi leader possono trasformare in un’arma quasi un quarto delle riserve mondiali di gas naturale, ma quasi un terzo delle famiglie non può riscaldare le proprie case. In Russia dicono di amare la “grandezza”. Ma questo concetto così ambiguo non viene mai misurato con lo sviluppo economico, il benessere o la qualità della vita. I russi lo misurano con la paura.  Il terrore fa parte della vita in Russia. La paranoia è radicata nei suoi cittadini. Questo ha conseguenze tragiche per il mondo esterno, poiché i russi temono se stessi e ciò che sono diventati e cercano conforto nel tormentare gli altri con il loro “potere”. Secondo loro, più persone nel mondo soffrono per mano del governo russo, più potente diventa il loro stato.

In Russia regna il culto della morte. In un paese che perde la sua popolazione e che sostiene di essere un pilastro della cristianità, ai bambini viene insegnato fin da piccoli che potrebbero dover sacrificare la propria vita per contribuire alla gloria del proprio paese. All’inizio di questo mese, Vladimir Solovev, un propagandista del Cremlino, è stato filmato mentre diceva agli studenti: “Un russo è sempre pronto a morire. Non si sa mai quando la madrepatria lo chiamerà al suo dovere”.

 

Anni fa, Sting cantava: “Spero che i russi amino anche i loro figli”. Mi sono ricordato di quella canzone a marzo, quando ho sentito la registrazione di un militare russo che chiamava la moglie da una città appena conquistata nella regione di Kyiv, vantandosi di aver svaligiato la casa di una famiglia ucraina per rifornire la propria. Sono stati documentati migliaia di casi simili. Molti soldati russi provengono dalle regioni più povere e il saccheggio in Ucraina è diventato un sistema semplice per migliorare il tenore di vita dei loro cari.

Una madre che rinuncia al proprio figlio, dopo che questo viene catturato in Ucraina, è considerata una manifestazione d’amore, nella realtà distorta della Russia. E se un giornalista contatta questa madre per avvisare che suo figlio è imprigionato e si trova lì con lui, è normale che la donna risponda: “Chi le ha detto che ho un figlio? Non voglio parlare con lei, si sbaglia”, per poi riattaccare. In Italia ci si potrebbe scandalizzare di fronte a tanta insensibilità. Ma non è difficile comprendere le ragioni di queste madri se si considera che, fin dall’epoca sovietica, i prigionieri di guerra russi sono stati considerati traditori e i loro parenti ne subiscono spesso le conseguenze. 

 

Nel caso della Russia di oggi, incoraggiare il proprio marito a marciare nella regione di Kherson per violentare le donne ucraine probabilmente non è altro che una manifestazione d’amore. In Russia, la verità è quasi sempre più terribile della finzione.  Naturalmente i soldati di Mosca non chiedono il permesso. I militari hanno usato la violenza sessuale come strumento di terrore e abbiamo raccolto migliaia di casi documentati di donne, uomini e bambini a testimonianza di ciò.

La scorsa settimana, dopo sei settimane di negoziati, la Russia ha restituito all’Ucraina il corpo di Paul Urey, un operatore umanitario britannico. Era stato catturato ad aprile mentre evacuava dei civili dalla zona di combattimento nella regione di Zaporizhzhia. A luglio, i russi hanno riferito che Urey era morto “a causa di malattia e stress”. Il 7 settembre abbiamo verificato il tipo di “malattia” e di “stress” di cui aveva sofferto: parti del corpo mancanti, numerosi tagli e tracce di torture. La presa di ostaggi, la tortura e l’esecuzione sono all’ordine del giorno per le Forze armate russe. Il servizio di sicurezza ucraino possiede migliaia di documenti che lo testimoniano. Dalla regione di Mykolaïv, da Kherson, da Chernihiv: in ogni luogo in cui sono passati i soldati. Ma possiamo, in tutta onestà, chiamarli soldati? Questi militari non sono stati semplicemente disumanizzati? Pervasa da una cultura tossica e sottoposta al lavaggio del cervello da un’oscura macchina di propaganda, la Russia ha generato una terrificante sete di sangue nelle sue Forze armate e nella popolazione.

 

Questa è la realtà di uno stato i cui cittadini non sono più in grado di distinguere tra bene e male, o semplicemente tra giusto e sbagliato. Uno stato in cui l’industria automobilistica non si basa più sulla domanda del mercato, ma sui corpi dei morti. In Ucraina abbiamo assistito con stupore ai video online in cui i parenti dei russi “uccisi sul campo” scambiavano con gioia i loro risarcimenti con delle macchine Lada. Questa gioia è sincera? E’ difficile dirlo.

In fondo, l’unico impero che la Russia abbia mai costruito con successo è un impero di bugie. Dove chiamano fascisti coloro che vogliono conquistare e distruggere. Dove la guerra è chiamata operazione speciale. Dove gli invasori sono chiamati liberatori. Dove essere mercenari è vietato dalla legge, ma i mercenari vengono assunti legalmente. Il saccheggio è visto come una conquista. Stupratori, torturatori e macellai sono considerati eroi. La Russia, infatti, non combatte i terroristi: li paga per il loro servizio. Educa i suoi figli a diventare terroristi. Incita i suoi cittadini al terrorismo. Indipendentemente dal luogo in cui si trovano – nelle Forze armate ufficiali, nei ranghi non ufficiali di Wagner, nell’Fsb, nel Gru, in Gazprom, o in Rosatom – svolgono tutti la stessa funzione. Il loro obiettivo è seminare terrore e odio, uccidere e minacciare, costringere e ricattare. Si dice che tutto questo è per la gloria della madrepatria Russia. Non è quindi giunto il momento di chiamarla finalmente con il suo vero nome?

Andriy Yermak, capo dell’Ufficio del presidente ucraino Volodymyr Zelensky

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