Tra Izyum e Washington

Il prossimo piano di Biden per contrastare la vendetta di Putin

Paola Peduzzi

L’alleanza con Kyiv s’è fatta solida. Ora il presidente degli Stati Uniti deve sostenere l’alleato ucraino, l’alleato europeo e la promessa di ripartenza e ristrutturazione dell’America. La linea cauta della Casa Bianca

L’alleanza tra America e Ucraina ed Europa si è fatta via via più spessa, il rapporto di fiducia si è costruito con incontri, telefonate, esercitazioni comuni, invio di armi, invio di aiuti, un dialogo costante, serio, efficace. Joe Biden, presidente americano, non è bravo con la retorica, e anzi talvolta inciampa in qualche guaio diplomatico, ma è diventato “non soltanto l’arsenale della democrazia ucraina, anche i suoi occhi e le sue orecchie”, scrive Bret Stephens sul New York Times.

 

Biden oggi risponde a chi chiede se siamo davanti a un punto di svolta della guerra: “E’ una domanda che non ha risposta. Gli ucraini hanno fatto progressi significativi, ma credo che la strada sarà lunga”. Volodymyr Zelensky, presidente ucraino, è andato a Izyum, che è una città strategica e che quando fu occupata dai russi, a fine aprile, rappresentò un colpo per le forze ucraine. Zelensky ha issato la bandiera ucraina e ha detto che “andiamo in una sola direzione, avanti, verso la vittoria”.

  
A Izyum i russi hanno distrutto e torturato, come in ogni territorio ucraino in cui sono stati, anche per poco tempo. Qui ci sono stati per mesi, i segni dei “terroristi russi” sono ovunque, dice Zelensky, deciso a liberare tutto il paese, anche la Crimea. 

  
L’America gli è accanto, Biden è un alleato cauto e solido. La Russia ha sbagliato molti dei suoi calcoli militari, diplomatici ed economici perché si era convinta della fragilità dell’occidente: non soltanto si sbagliava, ma con la sua guerra brutale lo ha accidentalmente riaggiustato, l’occidente. Gli Stati Uniti hanno fornito 15 miliardi di dollari in assistenza militare all’Ucraina dall’inizio del mandato di Biden, compresi quegli armamenti sofisticati che hanno giocato un ruolo decisivo nell’ultima parte della guerra. Non è stata una donazione a fondo perduto, gli ucraini hanno dovuto e voluto dimostrare di saper utilizzare al meglio armi e fiducia.

  

La storia della controffensiva ucraina racconta il rapporto tra Washington e Kyiv e più in generale come si costruisce un’alleanza. E’ da giugno che si parla della controffensiva: anche i più entusiasti si erano raffreddati nell’attesa, mentre diventavano più rilevanti, agli occhi degli americani e degli europei, le altre guerre: del gas, del petrolio, dell’elettricità, della propaganda. Kyiv non voleva che la guerra diventasse un “conflitto congelato”, com’è accaduto nel 2014 quando fu annessa la Crimea e occupata una parte del Donbas, perché aveva bisogno di risollevare il morale degli ucraini stremati dallo stallo e anche rilanciare la propria posizione agli occhi degli alleati. Non state buttando via tempo e soldi con noi, insomma: a questo serviva l’azione militare, oltre naturalmente a  liberare terre e  persone dall’occupazione russa e a ridimensionare un’altra convinzione di Putin, quella di essere il più forte. 
   

Washington sceglie la linea cauta, così come non ha voluto interferire pubblicamente in nessuna delle decisioni e delle strategie comunicative scelte da Zelensky. I media si sono appassionati all’idea di svelare il contributo americano alle operazioni ucraine, ma l’Amministrazione Biden no: ancora due giorni fa, John Kirby, coordinatore della comunicazione del Consiglio nazionale per la Sicurezza alla Casa Bianca, ha detto che sono cambiati gli equilibri sul campo, ma le guerre sono imprevedibili, “lasciamo che sia Zelensky a definire in che punto della guerra siamo”. La Russia ha ancora una forza militare capace di infliggere danni e morte in quantità, ha detto Kirby, annunciando un nuovo pacchetto di aiuti militari per i prossimi giorni e di fatto dando un nome a questa nuova fase: prepararsi a contrastare la vendetta di Putin.
  

Ogni volta che l’Amministrazione Biden annuncia nuovi aiuti all’Ucraina, si apre un dibattito interno. Il Congresso è stato compatto e bipartisan sulla necessità di aiutare Kyiv contro la Russia (e anche questo è un risultato ascrivibile al modo con cui Biden gestisce l’alleanza), ma essere un arsenale per la democrazia ucraina non significa soltanto inviare armi. In queste ore la Borsa di Wall Street ha subìto uno dei tracolli più rilevanti dell’anno a causa dei dati sull’inflazione: i segnali di ripresa, che pure ci sono sul fronte dei prezzi delle risorse energetiche, sono stati sminuiti e così il messaggio di Biden, con conseguenze prevedibili sul dibattito pubblico e su quello elettorale – si vota per le elezioni di metà mandato a novembre. La vendetta della guerra di Putin si consuma anche così: ogni dollaro che Biden spende per l’Ucraina riceve come risposta: e noi americani? Anche per questo il presidente americano va cauto, consapevole di dover sostenere l’alleato ucraino, l’alleato europeo e la promessa di ripartenza e ristrutturazione dell’America. Sa anche, come aveva detto lui stesso, che tessere le alleanze internazionali è più semplice che ricucire il suo paese. 
      

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi