il reportage
Londra saluta Lilibet, la regina del popolo
In fila con chi vuole rendere omaggio a Elisabetta, con il braccialetto giallo che indica la posizione, i ricordi e i nuovi cittadini del regno che dicono addio alla loro sovrana
Le autorità britanniche hanno imposto una selezione darwiniana per decidere chi può rendere omaggio al feretro della regina a Westminster hall. Trenta ore di attesa, otto chilometri di fila, e quattrocento mila persone stimate fino a lunedì mattina, il giorno del funerale.
I primi ad attraversare Lambeth bridge, il ponte che conduce alla camera ardente, sono dei sopravvissuti. “Siamo qui da ieri notte”, dicono, stremati ma felici, mentre vengono scortati dalla polizia all’interno dei Victoria towers gardens, un giardinetto che conduce a Westminster hall. La bara della regina Elisabetta è partita da Buckingham palace e arrivata a Westminster alle tre in punto – allo scoccare del Big Ben – al termine di una processione durata trentotto minuti.
I quattro figli della regina, i principi William e Harry e altri reali si sono accodati alla bara – su cui era poggiata la corona imperiale di stato – e hanno marciato sotto gli occhi dei sudditi, rigorosamente in silenzio al lato della strada. A differenza dell’erede al trono e degli altri figli della regina, Andrea e Harry – che sono stati privati dello status di reali – non indossano la divisa.
Dall’altra parte del ponte c’era in fila il popolo della regina, vestito di nero, malgrado l’insolito sole londinese che rende l’attesa ancora più sfiancante. Ci sono tanti giovani, parecchi immigrati di seconda generazione. Rocky, ventiquattro anni, genitori pachistani, è vestito in giacca e cravatta e aspetta in fila dalle nove di mattina. Un altro coetaneo, Peter, che sfida il caldo con un cappotto nero e un panciotto, dice che “starsene seduti in poltrona non è la stessa cosa, devo rendere omaggio alla regina in presenza”. Finalmente, alle tre e mezzo di pomeriggio circa, arriva il loro turno e vengono scortati lungo Lambeth bridge. Missione compiuta.
Il portone di Westminster Hall aprirà solamente alle cinque ma, per chi ha passato la notte in coda, novanta minuti nemmeno si sentono. “Sono nato e cresciuto con la regina, e la sua morte ha segnato la fine di un’era – ci racconta Rocky – Oggi si apre una nuova fase costituzionale, mica potevo restarmene a casa”. E non è l’unico tra i presenti a fare questo ragionamento. John Lane potrebbe essere suo nonno; indossa una bombetta nera, cammina con le stampelle e ricorda di aver partecipato a questo rituale per la morte della regina madre nel 2002. Ma esprime lo stesso desiderio di volere vivere la storia. “Non essere qui sarebbe stato un grande rimpianto; non potevo andare in palestra, o fare qualche altre attività banale, in un momento così – spiega – Fin da quando è morta la regina, volevo essere qui. Credevo di avere il 50 per cento di probabilità di riuscirci, ma grazie a Dio ce l’ho fatta”.
Con il passare dei giorni, la fila diventerà sempre più lunga finché, a un certo punto, le autorità non consentiranno più a nessuno di unirsi. In coda ognuno ha un braccialetto giallo con un numero che indica la posizione e consente di allontanarsi per mangiare, bere e rendere un po’ più sopportabile l’attesa. Le autorità hanno sconsigliato a bambini e anziani di tentare questa lotteria, e agli steward è stato detto di tenere gli occhi aperti ed essere pronti a prendere da parte e offrire “un bicchiere di tè” a chi non si sentisse bene.
John Bray, classe 1952, soffre di problemi cardiaci e temeva di non essere in grado di assistere alla camera ardente della regina. “Come faccio a stare in piedi per cinque o sei ore?”. John ha sollevato la questione in un’intervista e le autorità si sono decise a intervenire, dando accesso privilegiato ad anziani e disabili. “La regina è stata una presenza costante da quando sono nato. Visitare la camera ardente è un modo per partecipare attivamente al lutto; è diverso da restare al lato del marciapiede e vedere passare la processione”. Poi si interrompe, il poliziotto gli fa cenno. È arrivato il suo turno.
L'editoriale dell'elefantino