I resti di un'automobile in fiamme domenica a Tripoli (foto: AP Photo/Yousef Murad)

editoriali

Dabaiba si impone come l'uomo forte di Libia

Redazione

Il premier sostenuto dalla comunità internazionale si è dimostrato abile nella gestione degli ultimi scontri nel paese, a dispetto di quanti lo davano per finito perché troppo debole. Per Haftar Tripoli è sempre più un miraggio

Dall’ultimo fine settimana di scontri a Tripoli – il più violento da oltre due anni, con 32 morti e oltre 150 feriti – emerge un vincitore: Abdelhamid Dabaiba, premier di Tripoli sostenuto dalla comunità internazionale. A dispetto di quanti lo davano per finito perché troppo debole, troppo dipendente dalle regole democratiche delle Nazioni Unite, Dabaiba ha dimostrato invece di essere l’“uomo forte”. Sa che la legittimazione dell’occidente, al di là del sistema di corruttela radicato a est come a ovest, dipende da chi si dimostrerà il più abile. Come ha spiegato al Wall Street Journal Wolfram Lacher, uno dei massimi esperti di Libia, “chiunque prenderà il controllo di Tripoli beneficerà del riconoscimento internazionale”. Dopo i colloqui ufficiali al Cairo, dopo quelli segreti portati avanti dall’Italia, l’occidente ha esaurito le soluzioni alternative. Dabaiba, dal canto suo, ha resistito ancora a chi paventava per lui scenari foschi, perché considerato più debole rispetto ai rivali della Cirenaica, spregiudicati e sponsorizzati da russi, egiziani e francesi. Il premier di Tripoli ha cooptato milizie addestrate dai turchi e ha promesso purghe contro chi lo tradirà, ma  mascherate con toni da democratico: “A chi crede di potere mettere in scena un colpo di stato diciamo che l’èra dei colpi di stato è finita. A chi vuole le elezioni, diciamo che siamo pronti al voto”. Un voto che lo stesso Dabaiba, in fondo, ha dimostrato di non volere, perché il potere in Libia è sempre stato una questione di potere e di armi, nulla di più distante dalle urne. In Cirenaica, il terzo golpe fallito da Fathi Bashagha e Khalifa Haftar dimostra invece la loro impreparazione politica e militare. Troppo solerte nel prestare ascolto a chi, in ottica anti europea, fomenta la destabilizzazione del paese – Mosca in primis – Bashagha ha perso quel che restava della sua credibilità e c’è già a est chi chiede la sua testa. E per Haftar, piuttosto che chiedersi come conquistare la capitale, è tempo di prendere atto che con tutta probabilità non riuscirà a farlo. 

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