In Corea del sud il populismo peggiora i danni di pioggia e diseguaglianze

Giulia Pompili

Il simbolo di tutto sono i banjiha, la parola coreana che indica i seminterrati dei palazzi famosi grazie a “Parasite”. Le reazioni del sindaco di Seul e del presidente Yoon

Le alluvioni di questi giorni in Corea del sud sono una novità solo per chi non ha mai vissuto una stagione delle piogge in Asia orientale. Negli ultimi anni le piogge monsoniche, in quell’area di mondo, si sono fatte più intense, più estese nel tempo, spesso devastanti, e una semplice stagionalità è diventata una continua emergenza fatta di alert sui cellulari e giganteschi investimenti sulle assicurazioni. Le chiamano flash flood, inondazioni lampo. A Seul, la pioggia di questa settimana è stata un disastro. Ci sono stati undici morti, almeno sei dispersi, più di settemila sfollati. Ma le piogge torrenziali di questi giorni parlano anche moltissimo di un paese che fa i conti con la popolarità di questi anni, elogiato per la sua risposta alla pandemia e per il business del Kpop, che però, in certi momenti di crisi, mostra al mondo le sue criticità: quelle di una società dalle enormi diseguaglianze sociali, e una classe politica che è riuscita ad arrivare al governo grazie a slogan populisti e impreparazione (ricorda qualcosa?). 


Il simbolo di tutto sono i banjiha, la parola coreana che indica i seminterrati dei palazzi diventati molto popolari a livello internazionale grazie a “Parasite”, il premiatissimo film di Bong Joon-ho. In Corea del sud 327 mila famiglie vivono in appartamenti seminterrati che negli anni Settanta, quando il governo li rese obbligatori per le nuove costruzioni, non erano destinati alle abitazioni. Erano bunker e dispense da usare in caso di emergenza. Poi il boom della popolazione urbana negli anni Ottanta si accompagnò a una profonda crisi abitativa che dura ancora oggi, e il governo allora cominciò a chiudere un occhio su chi affittava i suoi seminterrati come se fossero appartamenti. Ed era tutto già scritto nella famosa scena di “Parasite” e dell’alluvione: i seminterrati sono spazi pericolosissimi, delle trappole per chi non può permettersi un vero appartamento. Quattro delle undici morti avvenute per le piogge di questi giorni a Seul sono avvenute nei banjiha. Secondo la polizia, una famiglia di tre persone che viveva a Sillim, nel distretto di Gwanak, è rimasta intrappolata quando l’acqua ha invaso l’appartamento attraverso una voragine della strada. Una donna a Sangdo, nel distretto di Dongjak, è riuscita a portare in salvo sua madre ma poi è rientrata nel seminterrato per tentare di salvare il loro gatto, restando uccisa. Ieri il sindaco di Seul, il populista di destra Oh Se-hoon, ha deciso di abolire i banjiha senza però dare un’alternativa alle famiglie che li abitano, ed è un problema per la politica sudcoreana dove i piani abitativi, i prezzi delle case e degli affitti sono un elemento centrale delle campagne elettorali. Oh è lo stesso sindaco che un mese fa inaugurò il nuovo tunnel anti-inondazione di Seocho-gu, nell’area ricca di  Gangnam, dicendo che la popolazione non avrebbe più dovuto temere la pioggia: l’altro ieri  Gangnam era sott’acqua. Il sindaco è stato soprannominato “Oseidon”, perché Seul fu colpita da un’altra alluvione nel 2011, durante la sua precedente esperienza da primo cittadino: allora ci furono 69 morti e 8 dispersi. Secondo diverse analisi, il suo piano urbanistico per la “nuova Seul” fu in gran parte responsabile di quelle inondazioni  e frane. 


Ma la polemica è arrivata a colpire pure il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol: lunedì sera, mentre in Corea cadeva la pioggia più intensa dagli ultimi ottant’anni, Yoon è stato costretto a seguire l’emergenza da casa. La sua decisione di non spostare la residenza al palazzo presidenziale, la Casa Blu – una decisione presa sull’onda del populismo anti privilegi – l’ha costretto a casa e non nella situation room perché le strade erano impraticabili. “La situation room è dov’è il presidente”, ha risposto in sua difesa il sindaco di Seul Oh, evocando un linguaggio quasi trumpiano. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.