Un uomo cammina tra gli scaffali della libreria Cecil H. Green, nell'università di Stanford, California (Getty Images)  

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Biden contro i monopoli editoriali: no all'unione tra Phr e Simon & Schuster

Giulio Silvano

Il governo americano è intervenuto per bloccare la fusione tra il primo e il quarto gruppo editoriale degli Stati Uniti. Anche Stephen King si è detto contrario all'operazione. Ma il vero problema è la concorrenza dei giganti dell'online

Sembra un po’ tardi ormai per preoccuparsi dei monopoli dell’editoria. Eppure il dipartimento di Giustizia americano ha deciso di tentare di bloccare l’acquisto di Simon & Schuster da parte di Penguin Random House per quasi 2,2 miliardi di dollari. Niente in confronto alla Mondazzoli se si guardano le cifre dell’operazione (Mondadori acquistò Rcs Libri per 127 milioni nel 2015, costretta poi a cedere Bompiani). La stessa Penguin Random House (Prh) è frutto di un’unione avvenuta nel 2013 tra le due storiche case editrici – il gruppo Penguin e Random House – ora di proprietà della megamultinazionale Bertelsmann, controllata principalmente dalla famiglia tedesca Mohn. Prh, con oltre 10mila impiegati e 15.000 libri pubblicati all’anno, è da tempo il gruppo editoriale più grande degli Stati Uniti mentre Simon & Schuster è il quarto, gli altri sono Hachette, Harper Collins e Macmillan: le cosiddette Big Five

 

Con l’obiettivo di evitare che nasca a breve una Big One, l’Amministrazione Biden ha portato tutti in tribunale. Il processo è iniziato lunedì a Washington e si anticipa una parata di dirigenti, editor e autori per difendere o meno l’acquisizione. Quello che ha fatto più notizia è stato a ora Stephen King che si è presentato di sua spontanea volontà e ha parlato del suo percorso di scrittore, di quanto sia stato fortunato a riuscire a scrivere per vivere, senza fare altri lavori, mandare i figli all’università e comprarsi una bella casa (secondo le stime ha un patrimonio di oltre 500 milioni). Oggi, ha detto, scrivere e guadagnare è sempre più difficile e ha citato uno studio dell’Authors Guild secondo cui in media un autore guadagna 20.300 dollari all’anno, cifra sotto la soglia di povertà. Se Simon & Schuster dovesse essere acquistata da Prh, sia i bestselleristi sia gli esordienti avrebbero anticipi molto più bassi, ha continuato King in tribunale. “Sono qui perché penso che questo raggruppamento faccia male alla competizione. Più aziende ci sono, meglio è”.  

 

Ma c’è un nome che aleggia e che fa più paura delle creature inventate da King: Amazon. I gruppi editoriali hanno il terrore che la più grande libreria del mondo possa un giorno sfidarle, così com’era successo con Hachette nel 2014. Dopo una disputa sul prezzo degli eBook, di colpo i titoli Hachette potevano arrivare agli utenti Prime con settimane di ritardo invece che in un giorno, a volte non erano nemmeno più disponibili sulla piattaforma. Lo scontro Amazon-Hachette ha mostrato gli effetti immediati quando si sfida Jeff Bezos, effetti che potrebbero mettere a rischio la sopravvivenza stessa delle case editrici. Il sottinteso dei manager della grande editoria sembra: meglio il monopolio di una mega-casa editrice che non il controllo totale di Bezos sul mondo dei libri. Tra l’altro Amazon ha una sua casa editrice, Amazon Publishing, che riesce a lanciare autori sfruttando gli algoritmi e le liste best seller sulla home del sito. Se la libreria è anche editore, è logico che cerchi di spingere soprattutto i propri prodotti.

 

L’attacco contro Prh del dipartimento di giustizia fa parte di una serie di incursioni antitrust di una squadra messa su da Biden, che ha come target principale l’industria Tech. Ma arrivati qui, ogni correttivo statale anti-libero-mercato sembra piuttosto inutile. Che Penguin Random House acquisti o no Simon & Schuster, dicono diversi esperti, non cambierebbe molto, una sorta di monopolio c’è già, e Amazon è ormai troppo potente per esser scalfito dallo Sherman Act. 

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