Alla Cpac di Dallas

Orbán apre la riunione dei conservatori occidentali, Trump la chiude

Paola Peduzzi

 Chi prende appunti dal discorso del premier ungherese alla Conservative Political Action Conference di Dallas. “How to fight”, il manifesto della riscossa della nuova destra illiberale

La Conservative Political Action Conference (Cpac), uno degli appuntamenti più importanti del conservatorismo occidentale, si è aperta ieri a Dallas con l’intervento del premier ungherese Viktor Orbán e si chiuderà sabato sera con il discorso conclusivo di Donald Trump – nel 1974, quando è nata la Cpac, a inaugurarla fu Ronald Reagan. La conferenza è trasmessa live da Fox News, l’emittente di proprietà di Rupert Murdoch che è il megafono di questo conservatorismo – la chiamano la New Right dei neoreazionari, la siglano NRx, è la destra trumpiana, sovranista, xenofoba, eversiva e in molte sue componenti filoputiniana  – e infatti la sua star, Sean Hannity, è uno degli ospiti d’onore a Dallas. Molti dicono che Fox News, l’unica emittente che non ha trasmesso nemmeno un minuto delle testimonianze di fronte alla commissione speciale che indaga sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio, si stia staccando da Trump, come altri media di proprietà di Murdoch, per puntare su Ron DeSantis, il governatore della Florida che alla Cpac ha sempre avuto un posto e che invece questa volta non c’è. Forse perché Trump vuole annunciare la sua candidatura per il 2024 e non vuole rivali nei paraggi? Chissà, beghe trumpiane in ogni caso sono: alla Cpac la destra tradizionale non ha né palco né pubblico. A proposito di assenti: non c’è nemmeno Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, che alla sessione invernale della Cpac in Florida, era andata e aveva tenuto un discorso  e che aveva partecipato a maggio anche alla Cpac in trasferta in Ungheria. Ora lo slancio orbanista della Meloni s’è ridimensionato, complice l’allineamento pro russo del governo ungherese e il collasso dell’asse di Visegrád tra Budapest e Varsavia, dove governa il PiS alleato di FdI. 

 

Putin è sempre stato un punto d’attrito nell’alleanza delle destre sovraniste in Europa – è il motivo per cui il PiS polacco non si è mai alleato con la francese Marine Le Pen – e l’invasione dell’Ucraina l’ha reso insormontabile. Ciò non vuol dire però che su molti altri temi queste destre non continuino a prendere appunti quando Orbán parla. Di certo lo fa Trump, che ha ospitato alla vigilia della Cpac il premier ungherese nel suo golf club a Bedminster, in New Jersey: “Poche persone capiscono quanto Orbán ciò che accade oggi”. Nei giorni scorsi qualcuno – nella destra tradizionale in particolare – aveva pensato che l’invito a Dallas al premier ungherese fosse in bilico, dopo il suo discorso incendiario in Romania, il 23 luglio, in cui disse che voleva evitare che l’Ungheria diventasse un paese “meticcio” e denunciò il “diluvio” di migranti “imposto” al suo paese (che, come si sa, ha un enorme problema di emigrazione, non di immigrazione). Una delle sue consigliere di sempre, Zsuzsanna Hegedüs, si dimise  scrivendo a Orbán: “Non so come tu non abbia potuto notare che il discorso che hai pronunciato fa riferimento a una diatriba  nazista degna di  Goebbels”, e dicendogli che le sue parole stuzzicavano  “i più vili tra i razzisti”.

 

La Cpac invece ha accolto festante Orbán e il suo discorso intitolato “How to fight”, manifesto della riscossa di questa destra illiberale. Tutti i nomi del trumpismo, da Steve Bannon in giù, compresi quelli che hanno scelto il silenzio-assenso sui fatti del 6 gennaio, sono presenti. Forniscono slogan e prendono appunti, e qui nemmeno la guerra di Putin crea troppi dissapori. J.D. Vance, l’autore di “Elegia americana” che corre in Ohio alle elezioni di mid-term ed è considerato uno dei più promettenti (e facoltosi: è finanziato dal magnate tech Peter Thiel) combattenti della guerra civile dentro al mondo conservatore occidentale, aveva detto tempo fa: “Davvero mi importa poco di quel che accade in Ucraina”, e aveva difeso altri repubblicani trumpiani che continuavano a esprimere la loro stima per Putin. Come Orbán, forse persino di più.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi