Charles Levy, Public domain, via Wikimedia Commons 

spiegazioni

Preparare il conflitto atomico è ciò che lo impedisce. Il paradosso spiegato da Guitton

Tommaso Nin

È proprio nel momento di più alta tensione negativa che si può realizzare il superamento, ovvero la pace. Davanti allo spettro della guerra atomica germoglia la speranza di un'epoca migliore

Lo scoppio del conflitto in Ucraina ha riacceso il dibattito sulla natura della guerra: alla perenne contrapposizione tra bellicisti e pacifisti, si è aggiunta di recente la schiera di coloro che si dissetano alla fonte della geopolitica nella speranza di penetrare le logiche del conflitto e trovare ristoro da un’irrazionalità, quella delle armi, che nell’occidente della “fine della storia” era stata relegata ai manuali del passato. Jean Guitton, il filosofo cattolico amico dei papi del Concilio, s’avventura invece in un’operazione ancora più radicale. Lo fa in un testo pubblicato oltralpe nel 1969 e ora disponibile in traduzione italiana, grazie all’editrice Morcelliana, con il titolo Il pensiero e la guerra. 

 

Nell’opera, una raccolta di conferenze tenute a partire dal 1952 alla Scuola di guerra del ministero della Difesa francese, Guitton cerca di mostrare che esiste “un rapporto segreto tra i metodi dell’uomo di guerra e i metodi dell’uomo di pensiero”. Vi è un’analogia tra il modo di procedere del pensiero e quello del conflitto, intravista dall’autore in particolare nella dialettica di Hegel; come nell’Aufhebung, così nella guerra è il momento negativo, la contraddizione tra i fronti a generare la possibilità di un suo superamento in una sintesi più alta e più vera, la pace, che è l’integrazione di due realtà in una nuova in cui entrambe ritrovano sé stesse a un livello superiore. L’evento bellico è la scena dialettica in cui l’uomo incontra e si scontra con un altro reale, la sua strategia, i suoi bluff, ma è anche l’occasione in cui fare i conti con il proprio destino. 

 

Questa piega esistenziale si palesa nell’epoca su cui s’agita lo spettro del conflitto nucleare, a cui è riservato il capitolo più corposo. La guerra post Hiroshima è inedita: nel calcolo delle probabilità di successo alla base della scommessa bellica subentra una minaccia infinita, la possibilità del suicidio reciproco, da cui la strategia della dissuasione che genera il paradosso atomico: la condizione per non fare la guerra nucleare è continuare a prepararla. Che futuro attende l’umanità? Per il filosofo l’attuabilità dell’arma assoluta, che rende il suicidio una concreta possibilità collettiva, pone paradossalmente tutto il consorzio umano di fronte alle questioni ultime – come nessuna religione era mai riuscita a fare – scolpendo le domande metafisiche nelle esperienze collettive e nei computi strategici. Il testo di Guitton è un’opera preziosa, che propone una lettura feconda e non moralista dell’esperienza bellica, scevra di facili condanne o frettolose conclusioni, aperta all’avvenire e con una certa nota di fiducia percepibile verso la fine: nell’epoca della bomba atomica, accanto al terrore del nulla che incombe in ogni istante, germoglia silenziosa la speranza del tutto.

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