Pedro Sanchez (Ansa) 

Podemos s'offende con Sánchez sulle spese militari, ma esclude la crisi

Guido De Franceschi

La comparsa in una riunione del governo di un “credito” da un miliardo di euro per il ministero della Difesa ha fatto infuriare, per la sostanza e per la forma, i ministri del partito di sinistra radicale

La scenografia con cui Madrid ha accolto a fine giugno il vertice Nato è stata molto apprezzata e il gran finale nei saloni del Museo del Prado ha rafforzato la cosiddetta “marca España”, ovvero l’immagine nel mondo del paese iberico. Però la combinazione tra l’impegno preso dagli aderenti all’Alleanza atlantica (far arrivare ad almeno il 2 per cento del pil le spese destinate alla Difesa) e la consapevolezza che la Spagna è il terzo paese della Nato che meno spende per l’esercito (l’1,01 per cento del pil) faceva prevedere quasi sicure turbolenze all’interno della coalizione di governo – formata dai socialisti del premier Pedro Sánchez e dalla sinistra radicale di Podemos, guidata dalla vicepremier e ministra del Lavoro Yolanda Díaz – nonché tra gli abituali sostenitori della maggioranza, tra i quali ci sono i partiti della sinistra indipendentista catalana e di quella basca, senz’altro contrarissimi, come Podemos, ad aumentare le spese militari.

 

E infatti ecco che la comparsa in una riunione del governo di un “credito” da un miliardo di euro per il ministero della Difesa ha fatto infuriare, per la sostanza e per la forma, i ministri di Podemos che – così hanno detto – ignoravano l’esistenza di questa misura. I socialisti hanno replicato dicendo che il provvedimento era stato presentato nella commissione preparatoria del Consiglio dei ministri. “Sì, ma era nascosto”, si sono lamentati da Podemos. Ed era presentato con la formula generica “Accordo con cui si autorizza la concessione di un credito straordinario al ministero della Difesa per far fronte alle spese straordinarie delle Forze armate causate dalla guerra in Ucraina”, senza ulteriori elementi né allusione alcuna a cifre tanto enormi.

 

Podemos ha quindi chiesto una riunione urgente per discutere a fondo di questa cosa e Yolanda Díaz ha usato parole molto dure sul tradimento da parte dei socialisti che hanno cercato di occultare le loro reali intenzioni ai partner di governo e ha detto che aumentare il budget della Difesa al 2 per cento da qui al 2029 (questo è l’orizzonte previsto da Sánchez) significa portare la spesa militare a 22 miliardi di euro a fronte dei 30 su cui può contare il “suo” ministero del Lavoro.

L’appartenenza della Spagna alla Nato, che fu confermata nel 1986 con un referendum combattuto, in cui i “sì” prevalsero solo grazie al credito personale di cui godeva l’allora premier socialista Felipe González, rimane un tema controverso nella sinistra. Anche se molte cose da allora sono cambiate. Perché, se la ministra (socialista) della Difesa Margarita Robles ha detto che “la pace non ce le regalerà nessuno ed è un nostro dovere difenderla” e se il ministro (socialista) degli Esteri José Manuel Albares ha affermato che la Difesa deve stare a cuore soprattutto alla sinistra “perché è la via progressista per la prosperità dei popoli ed è il modo per proteggere le persone più vulnerabili”, anche il ministro dell’Università Joan Subirats, che appartiene a Catalunya en Comú (e cioè a Podemos), ha detto che, data la situazione geopolitica, lui è favorevole a un aumento delle spese militari.

 

L’impressione ossimorica è che su questo punto un accordo tra i socialisti e Podemos sia impossibile e che, allo stesso tempo, sia assai improbabile una vera crisi di governo. Nessuno, infatti, vuole andare a elezioni. Né Sánchez, che della navigazione in acque agitate ha fatto la sua cifra politica. Né Podemos che se esce ora dal governo non ci tornerà mai più (e che non gode di sondaggi favorevoli). Né i gruppi indipendentisti catalani e baschi, che temono l’arrivo di un governo che comprenda la destra ultranazionalista (spagnola) di Vox. Né il Partito popolare del neosegretario Alberto Núñez Feijóo, che vuole incrementare il piccolo vantaggio sui socialisti che finalmente i sondaggi gli concedono e che conta di arrivare alla scadenza naturale dell’autunno 2023 con un Sánchez rosolatissimo dalle tensioni intragovernative e da un probabile aggravarsi della situazione economica.

Peraltro ieri da Roma, dove ha incontrato il suo omologo Andrea Orlando, la stessa Yolanda Díaz si è detta sicura di arrivare a un punto di incontro con Sánchez. Un ottimismo sorprendente, date le posizioni apparentemente inconciliabili, se non si trattasse solo dell’ennesimo episodio dei giochi di ruolo a cui ci ha abituato il governo spagnolo. 
 

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