L'export russo non cala. Ora c'è una sanzione furba
Come fermare i mercantili imitando il precedente degli aerei e far passare la voglia a chi aiuta Putin mentre si arricchisce col grano rubato
Le esportazioni di Mosca dipendono dalle navi straniere, i mercantili locali non sarebbero abbastanza per portare fuori dai confini i prodotti (compresi quelli rubati all’Ucraina) che la Russia continua a vendere in giro per il mondo. Due mesi dopo l’inizio della guerra, con le sanzioni, il traffico di alcuni beni aveva raggiunto il picco dal 2020, lo ha scritto in un report la società di consulenza Refinitiv. Dal punto di vista degli analisti, guardando al via vai nei porti, gli effetti delle sanzioni sono molto lenti a manifestarsi. Joe Biden ha proposto una soluzione: che le assicurazioni americane smettano di garantire i carichi che viaggiano da e verso i porti russi, e che quelle dei paesi alleati facciano lo stesso. Per il momento, riguarda solo le petroliere e i mercantili che trasportano barili ma, su questo, Biden ha detto che è già stato trovato l’accordo. Le sanzioni “generiche” sono semplici in teoria, difficili nella pratica. Ma l’intervento (in quel caso spontaneo) delle assicurazioni ha già funzionato una volta.
Per far rispettare le sanzioni servirebbe una immensa mole di controlli e controllori, si incapperebbe di continuo in ricorsi, difficoltà a reperire i dati, diverse interpretazioni, complicazioni burocratiche. Spesso sono più utili soluzioni indirette, meccanismi automatici e disincentivi specifici: come quello delle assicurazioni. Le imprese assicurative, sfilandosi, hanno già messo in crisi le compagnie aeree russe e rischiano di farle saltare. L’ottanta per cento delle parti che compongono gli aerei usati per esempio dalla Aeroflot, sono fatte all’estero. Chi le produce non le vende più alla Russia, e senza pezzi di ricambio disponibili, le operazioni di manutenzione non sono più considerate credibili dagli operatori di mercato: così le assicurazioni non assicurano più. E’ una notizia inquietante per i passeggeri: chi dovrebbe fare da garante non si fida della sicurezza dei voli. Per le compagnie aeree russe significa che in caso di incidente dovrebbero fare fronte a risarcimenti miliardari di tasca propria: faranno quello che dice Vladimir Putin ma, in circostanze normali, probabilmente avrebbero smesso di operare. Trasportare dei passeggeri o un carico senza assicurazione, significa rischiare di dover pagare molto più di ciò che si guadagna, e questa è la scorciatoia con cui si vorrebbe mettere un freno all’export via mare dei russi, ai conseguenti incassi di Mosca che poi contribuiscono a finanziare la guerra.
Il professore di Stanford Michael McFaul, che è anche stato ambasciatore degli Stati Uniti in Russia, ha creato un gruppo di esperti ospitato dalla sua università per analizzare l’efficacia e le lacune delle sanzioni contro Mosca, e per dare suggerimenti su come farle funzionare. Secondo un loro report, la quantità di grano che i russi hanno già rubato agli ucraini ammonta a mezzo milione di tonnellate. Senza flotte straniere, come quella della Delta Streamline LTD di Malta, niente di tutto questo sarebbe possibile: la Russia non ha la capacità di fare da sola. In parte, quelle tonnellate, sono ancora custodite dalle truppe nei territori occupati, in parte sono sulla terra ferma in Russia, ma il resto viene venduto all’estero con l’aiuto di società straniere: la compagnia di navigazione maltese, la Yayla Agro Gida San Ve Nak A.S. in Turchia o la General Organization for Trade, Storage and Grain Processing in Siria. Anche prendendo il caso più estremo, cioè la Siria di Bashar el Assad che ovviamente non partecipa alle sanzioni contro Putin, viene fatto notare un punto: qui le sanzioni occidentali c’entrano poco perché rubare il grano non è una violazione di queste, ma un crimine per il diritto internazionale. E’ un furto per cui andrebbero bloccati i pagamenti, e dirottati verso i conti correnti di Kyiv. Non è impossibile: le società intermediarie attraverso cui passano quei soldi le conosciamo già.
L'editoriale dell'elefantino