L'atlantismo in festa a Roma

Giulia Pompili

Alla sagra del 4 luglio a Villa Taverna tutti vogliono esserci. Tutti, tranne Conte e Salvini

“L’hamburger è troppo crudo, si mangiava meglio gli altri anni”. “Avranno razionato il gas per colpa di Putin?”. Niente dice che una festa è ben riuscita più delle polemiche sulla festa stessa e sulla nostalgia degli anni passati. Un po’ come ai matrimoni: il caldo, certo, ma anche gli hot dog sconditi. Il ricevimento per celebrare l’indipendenza americana a Villa Taverna, organizzato l’altro ieri sera dall’ambasciata  in Italia, è il momento clou della romanità pre-estiva, la sagra dell’atlantismo e dell’internazionalismo: quello che conta non è tanto esserci, è l’essere stati invitati. E se per due anni consecutivi, causa Covid, la festa non c’è stata, e se nel frattempo sono cambiati  due governi in Italia e alla Casa Bianca è arrivato Joe Biden, quell’invito diventa preziosissimo. Ufficialmente per networking, ufficiosamente per dimostrare di contare ancora qualcosa. E si racconta di messaggi arrivati  da parte di insospettabili manager e impiegati dell’informazione  (“dov’è il mio invito?”; “non è arrivato il mio invito”; “ma come, ho già fissato gli appuntamenti al tavolo della brace”). 


Non solo gli hamburger sono cambiati. Niente più banda swing dei Marine, ma musica disco e dj. Forse per decisione del simpaticissimo incaricato d’affari Thomas Smitham, al suo ultimo 4 luglio in Italia. A breve verrà sostituito dal nuovo incaricato d’affari, il diplomatico Shawn Crowley, attualmente a capo dell’ufficio Europa occidentale del dipartimento di Stato e che, tra le altre cose, ha guidato la missione diplomatica statunitense a Bengasi. Il passaggio da Smitham a Crowley  racconta l’atteggiamento americano verso l’Italia per il profilo diverso dei due – il primo economico, il secondo politico. E l’altra sera si parlava molto della nomina del nuovo ambasciatore: circolano  voci su chi sarà, nessuna è stata ancora confermata. Una delle candidate  è l’ottantaduenne speaker della Camera Nancy Pelosi, in questi giorni in tour in Italia, che l’altra sera era sul palco della festa del 4 luglio e ha ricordato le sue origini italiane e la sua prima volta a Villa Taverna, da teenager. In molti alla festa smentiscono: non sarà lei l’ambasciatrice  in Italia, la voce è stata fatta circolare apposta, per dare alle persone qualcosa di cui parlare, “peccato però, pensa come sarebbero state belle, lei e la Cindy” (McCain, attuale ambasciatrice americana all’Onu a Roma). Eppure Pelosi attira moltissime attenzioni: sotto al palco, in prima fila, l’ha ascoltata la sua omologa italiana, la presidente del Senato Elisabetta Casellati, che tradiva nello sguardo un po’ d’invidia per l’unico rappresentate delle istituzioni italiane chiamato a fare il discorso dopo la speaker: il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, nella sua nuova versione ormai apertamente e orgogliosamente atlantista.

 

 

Di Maio ha iniziato leggendo un discorso in un inglese perfettibile nella pronuncia, poi è passato all’italiano, e ha descritto come “eccezionale” l’amicizia con l’America (“ma non è che ha usato lo stesso discorso che ha fatto in un’altra ambasciata?”, si domanda ridacchiando qualcuno) e ha detto che di fronte alla guerra di Putin “non possono esserci ambiguità, non possono esserci dubbi da che parte della storia stare, l’Italia è saldamente nella Nato, e i legami con gli Stati Uniti si rafforzeranno sempre di più”.

 

 

E in effetti giovedì sera, tra giornalisti (pochi) e manager, tra marines e carabinieri in alta uniforme, è stata la festa di Insieme per il futuro, il nuovo gruppo di Di Maio dopo la scissione con i 5 stelle, considerati Oltreoceano i più ambigui della politica italiana nei rapporti con Russia e Cina.  La festa di tre anni fa, l’ultimo 4 luglio a Roma, era arrivata a pochi mesi dalla firma di Di Maio sull’ingresso dell’Italia nella Via della Seta cinese, e agli occhi americani l’unico interlocutore credibile sembrava il leader della Lega Matteo Salvini, che era stato accolto con un abbraccio dall’allora ambasciatore Lewis Eisenberg. Giovedì  sera, invece, erano i neo-ex-grillini a pascolare allegri nei giardini di Villa Taverna, da Manlio Di Stefano a Vincenzo Spadafora, perché tutto sommato è bastato il colpo di spugna di Di Maio di una decina di giorni fa per rivendicare “i saldi valori dell’atlantismo” del nuovo gruppo e allontanare la nube del sospetto. Che invece incombe ancora su Giuseppe Conte, l’altra  sera defilatissimo, tanto che qualcuno metteva in dubbio la sua presenza (“Ma no, non c’è”, “Ma sì, l’ho visto, è passato con la fidanzata”). La struttura di Villa Taverna ha permesso ai due ex, Di Maio e Conte, di non incontrarsi. Così come la presenza di Matteo Salvini, attesa ma un po’ trascurata, brevissima. Giancarlo Giorgetti, l’uomo che ha sempre tenuto la barra dritta dell’atlantismo nella Lega, non si è fatto vedere. Giorgia Meloni, presenza costante del ricevimento a Villa Taverna, rideva e abbracciava tutti, ed era molto a suo agio: era forse l’unica a non doversi far perdonare nulla.  

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.