Le foto scattate da Maks Levin, esposte a Boyarka, Ucraina (foto da Wikimedia Commons)

editoriali

L'esecuzione di un giornalista

Redazione

I russi non hanno solo ucciso Maks Levin, lo hanno punito. Il rapporto di Rsf

Maks Levin era un giornalista che collaborava con la testata ucraina LB.ua e con l’agenzia Reuters. Ha seguìto la guerra dai primi giorni dell’invasione e il suo corpo è stato ritrovato il primo aprile assieme a quello del soldato ucraino Oleksiy Chernyshov. I due erano entrati in una foresta vicino Kyiv, incastonata tra i fiumi Irpin e Dnepr, per cercare un drone con il quale Levin stava filmando. La zona, ai primi di marzo era controllata dai russi. Reporters sans frontières  (Rsf) ha aperto un’inchiesta sull’uccisione dei due ed è venuto fuori che Levin e Chernyshov non sono stati semplicemente uccisi dalle truppe russe, ma sono stati interrogati e probabilmente anche torturati e la loro morte, tutt’altro che accidentale, ha le caratteristiche di un’esecuzione. Il corpo di Levin presenta colpi alla testa e al busto e ci sono sospetti che Chernyshov sia stato invece bruciato mentre era ancora vivo.

 

L’ong fa due ipotesi sulla loro morte. Nella prima i soldati sparano a Levin e a Chernyshov, rubano i documenti al primo, danno fuoco al secondo e al veicolo mentre risparmiano Levin o per mancanza di benzina o perché dovevano fuggire dagli ucraini. Nella seconda, l’ong ipotizza un’esecuzione dopo un interrogatorio: i russi bloccano la macchina, disarmano Chernyshov, interrogano i due, chiedono informazioni sulle postazioni degli ucraini, poi il soldato viene cosparso di benzina, minacciato e bruciato vivo. Levin invece viene colpito dai proiettili. Dall’inizio della guerra, sono stati uccisi trentadue giornalisti, molti sono morti non soltanto perché si trovavano in zone particolarmente pericolose e sotto il fuoco degli eserciti, ma perché i russi non hanno rispettato le regole della guerra, sparando, per esempio, contro i corridoi umanitari. La morte di Levin, secondo il rapporto di Reporters sans frontières, è ancora più brutale: non è stato un colpo casuale a ucciderlo, ma una punizione spietata contro un soldato e un giornalista che stavano cercando nella foresta gli strumenti che servivano a raccontare la guerra

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