L'uomo da tenere d'occhio per capire se ci sarà un'"operazione speciale militare" cinese

Il volto dell'aggressività cinese. Chi è il ministro della Difesa Wei Fenghe

Giulia Pompili

Al Summit sulla sicurezza di Singapore era l'ospite più atteso. Gli incontri con l'omologo americano e quello australiano. I toni diplomatici e le sparate: siamo pronti alla guerra per Taiwan

Ricorrendo a una delle ossessioni retoriche dei regimi autoritari, il generale Wei Fenghe ha usato la propria versione delle vicende storiche per dare un’immagine  distorta della realtà della Cina (ha detto per esempio che la Cina non ha mai mosso guerra contro nessun paese, ma non è vero) e giustificare la posizione di Pechino su una eventuale invasione di Taiwan e dare un avvertimento: “Gli Stati Uniti hanno combattuto una guerra civile per la loro riunificazione. La Cina non vorrebbe mai una  guerra civile simile. Schiacceremo in modo risoluto qualsiasi tentativo di perseguire l’indipendenza di Taiwan”. Peccato che nel 1949 la guerra civile cinese finì proprio con una divisione: i nazionalisti rifugiati sull’isola di Taiwan e la Repubblica popolare cinese nella Cina continentale. Il generale Wei Fenghe, ministro della Difesa nazionale di Pechino, distorce il passato, lo reinterpreta – proprio come fa Putin con l’Ucraina – ed è costretto a saltare a piè pari gli ultimi settant’anni di storia, durante i quali Taiwan, che la Cina rivendica come proprio territorio, si è autogovernata e oggi è diventata una delle democrazie più sviluppate dell’intera area asiatica. Più che dirette al governo di Taipei, le sue parole erano indirizzate ai rappresentanti dei governi che hanno preso parte, lo scorso fine settimana, all’ormai importantissimo Shangri-La Dialogue, l’annuale Summit sulla sicurezza organizzato a Singapore dall’International Institute for Strategic Studies di Londra. E’ stato proprio a Singapore che per la prima volta Wei Fenghe ha incontrato il suo omologo americano, il segretario alla Difesa Lloyd James Austin III. L’incontro è durato quasi un’ora, durante la quale i due ministri “hanno parlato per la maggior parte del tempo di Taiwan”, si legge nel comunicato del Pentagono. E poi hanno discusso “della necessità di un canale di comunicazione in caso di crisi tra i militari dei due paesi”, confermando indirettamente il problema sollevato già da qualche settimana, e cioè che America e Cina si parlano sempre meno, soprattutto nei luoghi dove il rischio d’incidente o di fraintendimenti sono altissimi.  Se il risultato del dialogo privato tra Wei e Austin cerca di dare l’immagine di una conversazione da toni pacati, la realtà è che nei discorsi pubblici sono volate accuse che aumentano la tensione tra Washington e Pechino: “Chiediamo all’America di smettere di diffamare e di cercare di contenere la Cina”, ha detto Wei, “E se qualcuno vuole costringere la Cina a una guerra, l’Esercito popolare di liberazione non si tira indietro”. 

 

La cena del Summit sulla sicurezza Shangri-La a Singapore, con Wei Fenghe seduto davanti a Lloyd Austin, il segretario alla Difesa americano, che non aveva mai incontrato (Ap) 


Wei Fenghe era l’ospite più atteso dello Shangri-La di quest’anno, perché la guerra in Ucraina ha aumentato di molto le preoccupazioni della comunità internazionale sulla Cina e su quello che viene definito il “bullismo” cinese militare soprattutto nel Mar cinese meridionale e orientale. Ma non era la sua prima volta. Già nel 2019, appena nominato al ministero, era andato al Summit – ed era la prima volta per un ministro della Difesa cinese. In quell’occasione aveva difeso pubblicamente la repressione del 4 giugno 1989 delle proteste di piazza Tiananmen, dicendo che quella di Pechino era stata la “decisione giusta” e che poi, dopo il massacro, la Cina è diventata “più stabile”. E di nuovo aveva ripetuto le minacce a chiunque sostenesse l’indipendenza di Taiwan. Classe 1954, Wei Fenghe  è nato a Chiping, nella provincia dello Shandong, un’area dove si produce grano e alluminio e che sin dalla fine dell’Ottocento ha subìto la presenza di molte autorità straniere, tedeschi, inglesi e poi i giapponesi. Secondo il suo profilo ufficiale, si arruola nell’esercito a sedici anni, a diciotto si iscrive al Partito comunista cinese. Ci sono poche notizie che riguardino la sua vita personale, soprattutto negli anni di lavoro nelle Forze armate cinesi. Sappiamo che è stato uno dei primi generali a essere stati promossi da Xi Jinping, e tra il 2012 e il 2017 è stato comandante di uno dei rami più strategici dell’Esercito popolare di liberazione, quello delle Forze missilistiche. Poi è arrivato il passaggio politico: la chiamata alla commissione militare del Comitato centrale del Partito comunista cinese e, un anno dopo, nell’esecutivo, cioè il Consiglio di stato. 

 

Il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu con Wei Fenghe nell'agosto del 2021 (Ap)


A Singapore, Wei Fenghe ha incontrato anche il neoministro della Difesa australiano Richard Marles, dopo anni ormai di tensione diplomatica tra Pechino e Canberra. E l’inatteso vertice bilaterale sarebbe stato organizzato dopo che, alla cena ufficiale dello Shangri-La Dialogue, il posto di Wei era stato posizionato davanti a Lloyd Austin e Marlen, annaffiato addirittura da vino australiano, lo stesso che la Cina ha boicottato.  Un’apertura al dialogo con i vertici militari occidentali, da parte del funzionario cinese? Non proprio. Bisogna guardare al suo ruolo dentro alla gerarchia cinese per capirlo, ha scritto Eryk Bagshaw sul Syndey Morning Herald: “Wei è un ministro nel Consiglio di Stato – responsabile degli affari pubblici del ministero della Difesa – ma è inferiore gerarchicamente rispetto ai due vicepresidenti della Commissione militare centrale. Non fa parte del Comitato permanente del Politburo, il potente gabinetto cinese”, e quindi tutto di quel che fa o dice o negozia deve avere un’approvazione più importante, a Pechino. La sua figura somiglia piuttosto a quella di un diplomatico, e con la Cina è soprattutto questo il problema: l’estrema gerarchia e burocratizzazione delle relazioni, dove a decidere è sempre qualcun altro, risalendo via via fino a Xi Jinping, il leader supremo che ormai è blindato nel palazzo. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.