(foto da Wikimedia Commons)

Colonialismo russo

Così il Sudan è diventato la base dei mercenari della Wagner e un modello per Putin

Enrico Pitzianti

Grazie a un mix di disinformazione, aiuti strumentali e agenti informali, Mosca ha fatto del paese il suo pied-à-terre sulle coste del Mar rosso. L'impronta del Cremlino spazia dalle basi militari al settore minerario

La compagnia militare privata Wagner è diventata celebre per essere il braccio armato dell’imperialismo russo. In Ucraina come in Siria e in almeno una dozzina di stati africani è usata dal Cremlino per ottenere ciò che vuole senza doverne rendere conto. Se le stesse operazioni politiche e militari le portassero avanti diplomatici e soldati regolari russi il legame con il governo di Mosca sarebbe palese, ma utilizzando una milizia privata (accompagnata da una sostanziosa dose di disinformazione ben congegnata e capillare) Putin e i suoi possono negare qualunque legame con ciò che accade, e quindi anche ogni responsabilità.

 

La strategia di dispiegare contemporaneamente migliaia di uomini in decine di paesi e, al contempo, negare tutto sta dando i suoi frutti, soprattutto in Africa. Lo scorso anno il fondatore e finanziatore della milizia, Yevgeny Prigozhin, ha donato al Sudan 198 tonnellate di cibo. Su ogni pacco di riso, di biscotti, o di lenticchie, si leggeva “Un dono di Yevgeny Prigozhin”. A prima vista era semplice beneficenza, invece era un ricatto. Prigozhin ha fatto sì che molte tonnellate di quei viveri passassero necessariamente per Porto Sudan, guarda caso la città dove Mosca stava facendo pressioni per ottenere la gestione di una parte di costa del Mar Rosso.

 

Che questa parte di Sudan fosse la meno bisognosa di aiuti alimentari, evidentemente, allo “chef di Putin” – com’è noto Prigozhin – non interessava più di tanto. E’ con mosse simili che la compagnia Wagner, e quindi il potere di Vladimir Putin, di recente è cresciuto a dismisura in Africa. Un altro motivo per cui nessuno al Cremlino riconosce l’esistenza del gruppo Wagner è che in questo modo i mercenari che ne fanno parte hanno mano libera sui metodi da usare. Negli ultimi anni sono emerse prove consistenti di torture, rapimenti e uccisioni extraprocessuali; il tutto quasi sempre per difendere un dittatore su cui il Cremlino stesso ha puntato.

 

In Sudan è andata così: nel 2017 il dittatore Omar al-Bashir, da trent’anni al potere e con un ragguardevole curriculum di crimini contro l’umanità, aveva bisogno di una mano per non perdere il proprio ruolo. La mano gliela offrirà Vladimir Putin. In un incontro tenuto a Sochi, in cambio di protezione, al-Bashir propone a Putin di usare  il Sudan come porta d’accesso russa all’Africa centrale. L’ex agente del Kgb accetta – stando ai report trapelati poco dopo – con un certo entusiasmo. Ed ecco che, nel giro di poco, il Sudan diventa un avamposto di Mosca.

 

Ma cosa significa per Putin cercare di trasformare un paese come il Sudan in un proprio stato vassallo? Ci si guadagna l’accesso al Mar Rosso, è vero, ma anche altro. Pochi giorni dopo l’incontro tra Putin e al-Bashir in Sudan cominciano ad arrivare i geologi e i tecnici di Meroe Gold, neonata società sudanese, specializzata nell’estrazione dell’oro e di altri minerali preziosi. Erano pronti a gestire le risorse minerarie del terzo stato più ricco d’oro di tutta l’Africa. E di chi è Meroe Gold? Ma di Yevgeny V. Prigozhin, naturalmente. Lui nega, dice che “purtroppo” non possiede aziende che si occupano di estrazione mineraria. Un’affermazione che ha del surreale, considerato che i pacchi di cibo con su scritto “Un dono di Yevgeny Prigozhin” erano distribuiti proprio da una sussidiaria di Meroe Gold. Ma il gioco di Mosca è questo: negare per evitare procedure formali e lasciare il dubbio sul proprio operato. E’ una segretezza particolare, quella scelta da Mosca: da una parte nega, dall’altra fa in modo che si diffonda ben chiara la voce dei propri misfatti. Altrimenti non si capisce perché fare direttore di Meroe, in Sudan, proprio Mikhail Potepkin, l’ex dirigente della Internet Research Agency, la fabbrica di troll russa finanziata da Prigozhin e che nel 2016 si intromise nelle elezioni statunitensi per favorire Donald Trump.

 

La logica è la stessa dell’avvelenamento di Alexei Navalny: si nega, a oltranza, qualunque coinvolgimento, intanto però per avvelenare l’oppositore si usa un gas nervino, il Novichok, che si produce solo in una manciata di laboratori al mondo, tutti russi. Intanto, l’oro sudanese, potrebbe aiutare Mosca a rendere inefficaci le sanzioni: 16 aerei di recente hanno fatto la spola tra Sudan e Siria, tutti operati dalla 223esima unità di volo dell’esercito russo. Probabilmente contrabbandavano oro da usare per stabilizzare il rublo. Quando i funzionari sono intervenuti per perquisire uno dei voli, però, è arrivato l’ordine contrario direttamente da generale Abdel Fattah al-Burhan. Il nuovo dittatore golpista del Sudan, nonché alleato di Mosca.