I rifugiati ucraini in Russia sono (altre) armi del regime. Le carceri piene e le prove da fabbricare

Micol Flammini

Sarebbero circa 500 mila i deportati da Mosca dall'inizio della guerra. Il quotidiano russo Kommersant dice che alcune strutture carcerarie sono state svuotate per fare spazio ai prigionieri di Kyiv 

Le carceri russe sono sovraffollate, non è un problema nuovo, ma nelle ultime settimane sembra più grave del solito. Il quotidiano russo Kommersant, che cerca di rimanere in equilibrio tra la serietà e la censura con successo, ha cercato di analizzare il problema e parlando con alcune associazioni per i diritti umani ha scoperto che  potrebbe essere correlato alla guerra in Ucraina: gli ucraini fatti prigionieri vengono sistemati nelle carceri russe. I penitenziari di Mosca  hanno il 29 per cento dei detenuti in più rispetto alla loro capacità, evidentemente, hanno detto  gli  esperti intervistati, alcune strutture carcerarie russe sono state svuotate per fare spazio ai prigionieri ucraini e i detenuti russi sono stati spostati in altri penitenziari creando sovraffollamento. 

 

Alcune fonti hanno riferito al Kommersant che sono soprattutto le strutture che si trovano nelle città di frontiera a essere riservate ai soli prigionieri di guerra, che non possono stare con gli altri detenuti. La Russia non ha fatto sapere quanti ucraini tiene prigionieri, ma Kyiv ha comunicato che, dall’inizio della guerra, circa 500 mila ucraini sono stati deportati in Russia. Alcuni, soprattutto i cittadini delle zone di confine, pur di fuggire dalla guerra sono finiti nelle mani del nemico. Altri, soprattutto gli abitanti di città occupate come Mariupol, sono stati portati in Russia con la promessa di denaro e di una nuova sistemazione in aree remote del paese: le promesse sono state disattese tutte. Chi non è nelle carceri vive comunque da prigioniero. I rifugiati ucraini vengono convocati per degli interrogatori, il cui fine è creare prove contro l’esercito ucraino. Vengono costretti a confessare che a compiere omicidi, a distruggere le loro case sono stati i soldati di Kyiv. Per la pressione e per la paura, qualcuno cede. Gli interrogatori durano a lungo, spesso si concludono con verbali già stilati in precedenza, in cui gli interrogati, che hanno quasi tutti addosso le ferite della guerra, sono costretti a dire che quelle ferite le hanno fatte i “nazisti” ucraini. Mosca annota, fabbrica prove, soprattutto quelle relative al battaglione Azov, i combattenti che hanno resistito a un assedio lungo quasi tre mesi a Mariupol e che ora sono prigionieri dei russi. Ai rifugiati ucraini viene anche chiesto di testimoniare che sono stati loro a distruggere il Teatro drammatico della città, bombardato dall’aviazione russa nonostante fosse un luogo di rifugio: sono morte circa seicento persone al suo interno. 

 

Gli ucraini ora sono un bottino nelle mani russe, che siano prigionieri di guerra o rifugiati, poco importa, sono complementari: ai rifugiati vengono estorte confessioni contro i prigionieri, per i quali Mosca vuole creare un tribunale internazionale esemplare. Nel frattempo studia le mosse degli ucraini che hanno già emesso una prima sentenza contro un soldato russo accusato di aver ucciso un uomo disarmato e ieri hanno iniziato un nuovo processo. I processi degli ucraini servono a incitare Mosca a scambiare prigionieri, ma i funzionari del Cremlino ancora non sanno se vogliono procedere allo scambio o fare un loro processo. Le confessioni che stanno estorcendo saranno comunque utili anche in caso di scambio di prigionieri: sono perfette per la propaganda interna e internazionale. I soldati russi prigionieri di Kyiv, tornando, potrebbero avere anche cose peggiori da raccontare, quindi  le dichiarazioni firmate dai rifugiati servono anche a dimostrare che al di là di ogni brutalità, al di là di ogni soldato ferito, traumatizzato, morto, la guerra è giusta e lo dicono anche gli ucraini, che, dopo aver sofferto le conseguenze del conflitto, si ritrovano a essere un’arma che Mosca usa contro il loro stesso paese. Qualcuno cerca di fuggire, di dirigersi verso l’Europa e secondo alcuni funzionari di Kyiv, a chi ha lo status di rifugiato viene impedito di lasciare la Russia. Chi si dirige verso l’Estonia, quindi verso l’Europa, viene bloccato al confine, interrogato, e costretto a rimanere nei confini russi. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.