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Biden convoca l'Asean contro Russia e Cina ma la strategia non funziona

 Massimo Morello

A Washington il summit fra America e l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico. “Un fatto simbolico” ma perché funzioni gli Stati Uniti devono imparare a decodificare i simboli asiatici

Bangkok. In Asia i simboli sono incapsulati nella psiche, fanno parte della realtà. In occidente hanno la sostanza dei sogni. Il summit fra America e l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico, che si è svolto a Washington venerdì e sabato scorsi, è stato “soprattutto un fatto simbolico”. Lo ha detto Gregory Polling, esperto di sud est asiatico al Csis di Washington. La sua affermazione diviene essa stessa simbolo degli equivoci tra il pensiero occidentale e quello orientale. 


Il summit, il primo dopo quello organizzato nel 2016 da Barack Obama, era previsto per marzo, ma molti dei leader dell’Asean non lo avevano giudicato opportuno a poco tempo dallo scoppio della guerra in Ucraina: dovevano ancora capire come comportarsi (altro segno del clima d’incertezza in cui si è svolto). Senza contare la mancata partecipazione del Myanmar, escluso dagli stessi governi dell’Asean che vedono nella giunta del generale Min Aung Hlaing un elemento di destabilizzazione dell’area, e l’assenza del neopresidente filippino Marcos, che non è ancora stato ufficialmente dichiarato tale.


Simbolo della “nuova èra” tra America e Asean evocata dal presidente Biden è stata la promessa di finanziamenti nei settori delle infrastrutture, della sicurezza, della sanità e dell’energia pulita per un totale di 150 milioni di dollari. Una cifra “modesta, per usare un eufemismo”, secondo lo stesso Polling. Tanto più considerando che è destinata a un gruppo di nazioni con una popolazione di 667 milioni di individui e un prodotto interno lordo aggregato di tre trilioni di dollari che nel 2030 dovrebbe divenire la quarta potenza economica mondiale. Secondo la complessa simbologia asiatica, l’offerta americana può suonare come un’offesa, riprova che i paesi dell’area sono ancora considerati “inferiori”. In termini di geopolitica occidentale, del resto, gli Stati Uniti non sembrano essersi resi conto che c’è un mondo che cambia a est delle coste del Pacifico, ed è inevitabile, da parte degli analisti asiatici, il paragone con l’impegno della Cina: a novembre  ha garantito investimenti da oltre un miliardo e mezzo di dollari. In compenso Biden assicura che il sia pur modesto finanziamento “genererà altri miliardi d’investimenti dal settore privato”. Un obiettivo che dovrebbe essere raggiunto con l’ennesimo acronimo: l’Ipef, ossia l’Indo-pacific economic framework.  Ma anche questo è interpretato come il segno di una marginalità dell’Asean rispetto al Quad, la quadrilaterale tra Australia, India, Giappone e Stati Uniti. Sicuramente l’Ipef non sembra preoccupare troppo i piani cinesi, che continuano a essere concentrati sulla  Via della Seta. Un progetto che sta creando legami inestricabili tra Cina e Asean con un bilancio di 685 miliardi di dollari, circa il doppio di quello tra Asean e Usa. 


Altra offerta che gli Usa hanno messo sul piatto è un mezzo della Guardia costiera americana nelle acque del Golfo del Tonchino – interessante ricorso storico – per contrastare “la pesca illegale cinese”.  Ma è da verificare quanto sia gradita. L’Asean, infatti, seguendo la linea del primo ministro di Singapore Lee Hsien Loong, ha scelto di non scegliere tra Cina e Usa, e di mantenere buoni rapporti con entrambe le superpotenze. Una posizione che non è stata compromessa dalla guerra in Ucraina, dato che la stessa Cina ha lasciato una certa libertà di scelta. E così, in varie forme e gradi, le nazioni dell’Asean hanno manifestato posizioni contraddittorie – a volte anche con se stesse. 


La guerra, tuttavia, può costringere a qualche scelta. Perché ha dimostrato la vulnerabilità delle nazioni più deboli. Come rileva uno studio dell’International Institute for Strategic Studies (Iiss), “Asia’s New Geopolitics: Military Power and Regional Order”: “L’intensificarsi delle rivalità geopolitiche, l’aumento della spesa per la Difesa e la proliferazione delle ultime tecnologie militari in tutta l’Asia suggeriscono che la regione è destinata a un lungo periodo di contestazione strategica”. La guerra, inoltre, ha evidenziato la scarsa efficienza degli armamenti russi che negli ultimi vent’anni sono stati i più venduti nell’area, per un valore complessivo di 10,87 miliardi di dollari. Come rileva il South China Morning Post, forse con qualche suggerimento da Pechino, paesi come il Vietnam, il Myanmar, l’Indonesia o la Malaysia, saranno tentati da altri fornitori. 


Secondo molti osservatori locali, dunque, in questo particolare momento gli Stati Uniti possono riguadagnare posizioni rispetto alla Cina. Ma per farlo devono imparare a decodificare i simboli asiatici. Astenendosi dal giudizio. E’ stato il segreto del successo di Kissinger.
 

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