Villeroy, un banchiere molto centrale

Stefano Cingolani

All’ombra del ballottaggio francese, c’è un’altra sfida che riguarda il futuro dell’Europa: che fine farà, alla Bce, Christine Lagarde? Perché conviene segnarsi questo nome: François Villeroy de Galhau

Emmanuel Macron batte in lungo e in largo l’Esagono per strappare ogni voto utile a Marine Le Pen, penetra nei feudi della destra, insegue i ceti popolari conquistati dalle sirene nazional-populiste, intanto il presidente in carica prepara la squadra per il prossimo mandato. Se resterà all’Eliseo, all’Hôtel de Matignon, residenza del primo ministro, vorrebbe Christine Lagarde come Il Foglio ha anticipato il 15 febbraio scorso. Chi la sostituirà alla guida della Banca centrale europea? Fonti ben informate sostengono che in cima alla lista c’è François Villeroy de Galhau, governatore della Banca di Francia, l’uomo che tutti davano in pole position per rimpiazzare Mario Draghi già nel 2019 prima che il presidente francese tirasse fuori dal cilindro Madame Lagarde e convincesse Angela Merkel la quale puntava a far guidare la commissione europea da Ursula von der Leyen. Anche oggi come allora, il risiko delle poltrone europee ha la sua importanza nella scelta. A Bruxelles si prefigura già una staffetta: Villeroy resterebbe a Francoforte un paio d’anni poi nel 2024 quando scade la commissione, la Bce andrebbe a un tedesco e un candidato francese o comunque gradito a Parigi prenderebbe la guida della Ue. Tra i papabili c’è Mario Draghi viste le affinità elettive con Macron, ma il conclave d’Europa è più incerto e misterioso di quello del Vaticano.
     

Aristocratico, tecnocrate, banchiere all’ombra della rosa socialista, il governatore della Banque de France aspetta con ansia, senza nascondere la convinzione di dover essere risarcito. Quasi come spinto da una premonizione, ha aperto questo 2022 tessendo le lodi dell’euro, “l’Europa nelle tasche dei cittadini”, il maggior successo della Ue salutato da un enorme consenso: il 78% degli europei è a favore e non a caso. “Abbiamo difeso il potere d’acquisto della popolazione”, ha detto il 4 gennaio durante i tradizionali auguri di capodanno ricorrendo a una serie di esempi popolari, quasi a smentire la propaganda euroscettica di Marine Le Pen. “In Francia il tasso d’inflazione si è più che dimezzato: tra il 2202 e il 2021 è stato dell’1,4% rispetto al 3,4% tra il 1982 e il 2021 – ha spiegato – Non è solo una statistica, ma realtà concreta. Il prezzo di un chilo di pane era 2,7 euro nel dicembre 2001, è salito a 3,6 euro vent’anni dopo con un aumento medio dell’1,4%, per la pasta l’incremento è stato più lento, appena lo 0,1% l’anno”. Quando parlava così l’invasione russa dell’Ucraina non era ancora scattata, ma dense nubi offuscavano già l’orizzonte monetario. Una inflazione ben peggiore del previsto spingeva i banchieri centrali, guidati dalla Federal Reserve, a tirare le redini per impedire che la loro bestia nera sfuggisse di mano. “Restiamo molto vigili – ha commentato Villeroy – crediamo però che le difficoltà dal lato dell’offerta e le pressioni delle materie prime si placheranno nel corso dell’anno, dovremmo tornare non alla bassa inflazione del passato, ma a un regime vicino al nostro obiettivo del 2% e la politica monetaria tornerà progressivamente nella norma”.  Poi i carri armati russi hanno violato i confini dell’Ucraina. Altro che normalizzazione, Vladimir Putin costringe a mettere nel cassetto ogni speranza e lo stesso governatore della Banca di Francia adesso consiglia alla Bce di “prendere tempo” e mantenere un approccio flessibile. Sarebbe un errore disastroso non solo alzare all’improvviso i tassi d’interesse, ma anche cessare l’acquisto di obbligazioni e titoli di stato. Se poi la guerra continuerà, chiunque prenda la guida della Bce dovrà affrontare una congiuntura difficile tanto quanto la pandemia.
     

  

Villeroy non manca di senso politico, grazie alla lunga esperienza nel Palazzo, sotto le insegne del Partito socialista. E’ nato a Strasburgo il 24 febbraio 1959 da una famiglia di aristocrazia provinciale, fluente in tedesco, con un antenato fondatore due secoli fa di Villeroy & Boch il grande gruppo di ceramica e articoli per la casa. Magro, sobria eleganza e fronte alquanto spaziosa, ha seguito il cursus honorum tradizionale con tanto di Ena, poi una carriera nella pubblica amministrazione e nei gabinetti governativi. Tra il 1990 e il 1993 è consigliere di  Pierre Bérégovoy prima ministro delle finanze e poi primo ministro. Sono gli ultimi anni di François Mitterrand all’Eliseo e la Francia attraversa una pesante crisi economica che il popolo sovrano fa pagare ai socialisti e allo stesso Bérégovoy. Una triste parabola per quest’uomo di valore, figlio di Adrian ebreo nato in Ucraina che si schierò con i Bianchi durante la rivoluzione bolscevica ed emigrò in Francia. Pierre nato nel 1925 frequenta il liceo a Parigi quando il padre muore, così è costretto ad abbandonare la scuola, lavora come operaio prima nelle ferrovie poi nella società del gas, ma non smette mai di studiare. Tutti anche i prof e gli intellò della élite socialista hanno sempre riconosciuto la sua grande competenza economica oltre che la sua capacità politica. Fin dal 1969 è uno degli uomini più vicini a Mitterrand, con lui sale al vertice e cade nella polvere, sconfitto, isolato, macchiato da uno scandalo (quanto s’assomigliano Francia e Italia) finché, depresso e umiliato, decide di togliersi la vita il primo maggio (data emblematica per un socialista) del1993 a Nevers in Borgogna dove risiedeva dopo l’insuccesso elettorale. La tragedia segna il giovane Villeroy il quale, quando nel 1993 il tecnocrate Edouard Balladur diventa primo ministro, va a lavorare alla direzione del Tesoro a Bercy, poi a Bruxelles come consigliere finanziario nella missione permanente della Francia. Nel 1997 i socialisti vincono di nuovo le elezioni politiche, il presidente, il gollista Jacques Chirac, accetta la coabitazione e nomina Lionel Jospin alla guida del governo, alle finanze va Dominique Strauss-Kahn il quale chiama Villeroy a dirigere il suo gabinetto, imprimendo un segno alla virata pragmatica e centrista. Dal 2000 al 2003 è direttore generale delle imposte e quando all’Eliseo arriva di nuovo la destra nel 2007 con Nicolas Sarkozy anche lui, come tradizione in Francia, va nel privato. Nel 2003 diventa presidente-direttore generale di Cetelem, una società di BNP Paribas che concede crediti al dettaglio, e dal 2011 al 2015 è direttore generale per i mercati nazionali del primo gruppo bancario francese. Rimasto sempre vicino al Psf, quando François Hollande nel 2015 batte Sarkozy, Villeroy viene premiato con la Banca di Francia. Una scelta non facile.
    

Ben 150 economisti firmano un appello che evoca il conflitto d’interesse e invita i parlamentari a opporsi: da una banca privata alla banca centrale sembra una minaccia all’indipendenza e all’autonomia. Il loro candidato è Benoît Cœuré membro del direttorio della Bce molto vicino a Mario Draghi, artefice della svolta con l’acquisto di titoli e i tassi negativi. Sia il Senato sia l’Assemblea nazionale scelgono Villeroy, ma non risolvono la competizione tra i due campioni francesi della moneta. La divergenza è più politica che teorica ed emerge quando il conflitto con Jens Weidmann esce alla luce del sole e si fa più aspro. Il governatore della Banca di Francia sostiene in sostanza la linea Draghi, ma invita ad abbassare i toni se non proprio a mediare con la Bundesbank, proponendosi come uomo ponte alla luce dell’asse strategico franco-tedesco. Nel 2019 prende apertamente posizione critica contro il “pacchetto Draghi” formato da quattro misure di ulteriore stimolo tra i quali tassi negativi e un secondo Qe. Il pomo della discordia è proprio questo: la fase numero due viene interpretata da Weidmann come un ulteriore aiuto all’Italia. Villeroy non arriva a tanto, ma lo fa capire. Secondi alcuni è una reazione piccata perché è ormai sfumata la sua candidatura al posto di Draghi. In ogni caso, Macron è furibondo e rafforza la propensione verso Christine Lagarde apertamente schierata per il Quantitative easing fin dal pulpito del Fondo monetario. 
    

Poi è arrivata la pandemia e ha costretto tutti a fare marcia indietro. La Francia ha sostenuto apertamente il Next Generation Eu e se l’Italia ha ottenuto un pacchetto tanto consistente lo si deve anche a Villeroy che s’è allineato alle posizioni del suo governo contro le obiezioni dei paesi “frugali” guidati dai Paesi Bassi e dal banchiere centrale olandese Klaas Knot, candidato rivale per la Bce con il sostegno della Bundesbank. Se è vero l’incastro europeo del quale si parla, Knot non ha chance, ma, anche in vista dello scambio futuro, cercherà comunque di mettere i bastoni tra le ruote insieme a Joachim Nagel che guida la Buba.
    

Difficile immaginare come sarà la politica monetaria dopo l’uscita di Christine Lagarde, anche perché ormai la guerra conta ben più della dottrina. Parlando il 15 febbraio alla London School of Economics, Villeroy ha ricordato che “non ci sono piloti automatici. Nessuno può definire in anticipo tutte le condizioni, quindi non possiamo legarci totalmente le mani con regole fisse e dovremmo sempre mantenere qualche elemento di discrezionalità di fronte a dati ed eventi inaspettati”. Tuttavia sono aperti nell’area euro alcuni dossier che andrebbero chiusi al più presto. Il primo riguarda il patto di stabilità. Il ritorno ai vecchi parametri verrà rinviato ancora, ma si darà impulso alla loro riforma (Macron lo ha detto e ripetuto) aprendo più spazi agli investimenti pubblici, come chiede da tempo anche l’Italia. Il secondo aspetto più di lungo periodo è la nuova governance economica. Villeroy si è espresso già anni fa a favore di un ministro delle finanze europeo, in sintonia con il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. E ora, come neo presidente della Banca dei regolamenti internazionali (detta la banca delle banche centrali), ha auspicato che venga rotto l’impasse che blocca l’unione finanziaria nella Ue. Resta più cauto, finora, sul progetto di mutualizzare una parte del debito pubblico, per esempio quello contratto per la lotta al Covid 19 e per tamponare la ricaduta del conflitto in Ucraina; qui il governatore della Banca di Francia è sensibile alle resistenze tedesche e dei paesi nordici i quali sono contrari a emettere altri titoli garantiti dalla Ue. Nei suoi voti di capodanno, s’è soffermato sui progetti strutturali auspicando progressi nel corso dei prossimi mesi. “Gli efficaci pompieri della crisi – ha detto – debbono lasciare il posto agli architetti”. Bella immagine, nel frattempo i missili russi stanno mettendo sotto pressione i coraggiosi pompieri e l’incalzare di sfortunati quanto tragici eventi non lascia tempo per progetti studiati a tavolino.