Mario Draghi e Emmanuel Macron a Bruxelles nel 2019 (Ansa)

Emmanuel Macron, il liberale coi muscoli

Giulio Meotti

Dalla lotta all’islamismo a quella contro il woke, i cinque anni del presidente francese oltre santini e agiografie

"La storia va guardata in faccia”. E’ così che nei giorni scorsi Emmanuel Macron ha affrontato l’argomento senza mezzi termini. In un programma speciale sulle elezioni presidenziali, “Outre-mer 2022”, al presidente francese, candidato alla rielezione, è stato chiesto cosa fare della storia. E lui ha detto che non bisogna “cancellare” né “riscrivere”. “Sono molto contrario e molto severo con coloro che vogliono rimuovere le statue”, ha spiegato Macron. Prima di lasciarsi andare: “Odio questa cosa, la cultura woke”. I duecento anni di Napoleone Bonaparte non si toccano, mentre è “woke senza senso” la direttiva della Commissione europea che invitava a non augurare “buon Natale”. “Un’Europa che viene a spiegare alla gente quali parole dovrebbero o non dovrebbero dire non è un’Europa a cui aderisco”, ha detto Macron.

 
La sinistra lo accusa di essere di destra, la destra di essere un cripto goscista. Macron tira dritto e offre una via d’uscita dal clivage: un liberalismo muscolare. Una visione e una prassi molto diversa dall’agiografia macroniana che i fan del leader di En Marche! avevano tessuto all’indomani della sua elezione nel 2017. L’unico leader europeo non populista che scontenta i progressisti. Un “passo falso” dietro l’altro per il mainstream.

 
Sull’islam, sull’identità, sul rapporto con il Terzo Mondo, sull’ecologismo, sulla Turchia, sulla libertà di espressione, sul dialogo con la cultura cattolica, sulla cancel culture. Se ne è avuto un assaggio durante il discorso che Macron ha tenuto al Panthéon di Parigi. La Repubblica è “sempre da proteggere” perché è “fragile” e “precaria”, “non ammette alcuna avventura separatista”, leggi islamismo. “Non ci sarà mai posto in Francia per chi, in nome di un Dio, a volte con l’aiuto di potenze straniere, intende imporre la legge di un gruppo”, ha detto Macron. A Mulhouse, il capo dello stato ha preso di mira il “separatismo” come un “nemico”. “Il separatismo islamista è incompatibile con la libertà e l’uguaglianza, incompatibile con l’indivisibilità della Repubblica e la necessaria unità della nazione”, ha detto Macron. Nella sua visita a Mulhouse, Macron è andato giù duro anche contro la Turchia. “Non possiamo avere le leggi della Turchia sul suolo francese”, ha avvertito il capo dell’Eliseo. Il presidente del Parlamento turco, Mustafa Sentop, ha subito castigato la “primitiva islamofobia” del capo di stato francese. La sintesi macroniana è così annunciata dall’Eliseo: “Indossare il velo nello spazio pubblico non è affar mio. Il velo nei servizi pubblici, a scuola, quando educano i nostri figli, è affar mio”. Ha difeso la polizia, niente defund the police stile americano. Gli aggressori della polizia, ha detto Macron, “non passeranno”. “La Repubblica non smonta le statue”, ha poi detto  dal Panthéon. La Francia “non cancellerà alcuna traccia o nome della sua storia, non abbatterà nessuna statua”, perché si deve guardare “lucidamente, insieme, la propria storia, la propria memoria”. Ha difeso Charlie Hebdo e “la libertà di espressione fino al diritto alla blasfemia”. Macron è il primo presidente francese in carica ad aver difeso il diritto del settimanale satirico di pubblicare le vignette su Maometto senza aggiungere alcun “ma”. Anche l’unico leader europeo a muovere critiche a Greta Thunberg quando è apparsa in lacrime all’Onu: “Se sei su posizioni molto radicali, queste rischiano di creare antagonismi nella società”, ha detto Macron. Nei giorni scorsi, Macron ha completato la sua conversione a favore dell’atomo. “Dobbiamo riprendere la grande avventura del nucleare civile in Francia”, ha annunciato l’inquilino dell’Eliseo in un atteso discorso a Belfort.

 
Anche nel rapporto con il Terzo Mondo, il presidente francese non legge dal banale spartito umanitario. “Oggi la sfida dell’Africa è completamente diversa, è molto più profonda, è di civiltà”. E ancora: “Quando i paesi contano ancora sette-otto figli a donna, si può decidere di spendere miliardi di euro ma non si stabilizzerà nulla”. Davanti ai vescovi francesi, Macron ha parlato di una laicità che non ha “la funzione di negare la dimensione spirituale in nome di quella temporale”. Ha affermato di non voler essere “né l’inventore né il promotore di una religione di stato che sostituisca la trascendenza divina con un credo repubblicano”. Primo presidente a parlare al Collège des Bernardins di Parigi, Macron ha detto che “il legame tra la chiesa e lo stato si è rovinato e tocca a noi aggiustarlo”, e, ricordando il sacrificio del colonnello Arnaud Beltrame, Macron ha spiegato che “quando arriva il momento della verità, la parte del cittadino e quella del cattolico bruciano della stessa fiamma”. Macron ha deplorato “un indebolimento dell’occidente”, la perdita dell’influenza occidentale. Secondo il presidente francese, “l’Europa è diventata un continente che non crede più nel futuro”.
La cristiana pakistana Asia Bibi, condannata a morte per blasfemia nel 2010 e prosciolta otto anni dopo, è stata ricevuta all’Eliseo. “Non avrei mai immaginato che un giorno avrei ricevuto tanto affetto, una tale accoglienza, un tale calore”, ha proseguito Asia Bibi in urdu, assicurando: “A Parigi mi sono sentita come a casa”. Macron è anche l’unico leader europeo che tenga testa al turco Erdogan. 

 
Le recenti parole pronunciate da Macron a proposito dei cristiani d’oriente (“sono una parte di ciò che siamo”) hanno suscitato una certa curiosità in Francia, anche alla luce di altre recenti iniziative avallate dall’Eliseo. Il presidente ha dato il via libera alla creazione di un nuovo dipartimento al Louvre dedicato all’arte bizantina e del cristianesimo orientale. Non solo: lo stato francese ha raddoppiato i fondi diretti a 170 scuole cristiane francofone soprattutto in Libano, Egitto, Giordania, Iraq e Siria. Infine, Macron ha assegnato la Legion d’onore a monsignor Pascal Gollnisch, direttore dell’associazione l’Oeuvre d’Orient. Così la Francia dimentica la versione rigida e atea della laïcité e finanzia i cristiani d’oriente, sull’orlo dell’estinzione. 
Macron sa che i populisti si battono sul terreno dell’immigrazione. Così ha creato non poco sconcerto fra i gruppi umanitari e la sinistra del suo partito adottando una politica molto severa sull’immigrazione. “I flussi di migranti in Europa non sono mai stati così bassi, mentre le richieste di asilo in Francia non sono mai state così alte”, ha detto. “Nel presentarci come umanitari, a volte possiamo essere troppo rilassati”. Sa che su questo si vincono o si perdono le elezioni. “La classe media non ha problemi con l’immigrazione” ha detto Macron. “Non la incontrano veramente, ma la classe operaia ci convive. La sinistra non ha voluto esaminare questo problema per decenni, quindi la classe lavoratrice si è spostata all’estrema destra”.

 
Macron si è posto come argine in Europa dall’infiltrazione del woke anglosassone. Il suo ministro dell’Istruzione, Jean-Michel Blanquer, è balzato in difesa del latino e del greco: “Ho letto e ascoltato queste critiche, alcune delle quali sono arrivate al punto di sostenere che Omero sia un’apologia della schiavitù. Trovo tali interpretazioni assolutamente sbalorditive. Attaccare una visione del mondo contemporanea basandosi su scritti risalenti a due millenni fa è un’assurdità abissale”. Blanquer, che ha lanciato un think tank dedicato alla lotta contro l’“importazione anglosassone” del woke, ha annunciato che il latino e il greco antico saranno proposti anche agli studenti del diploma di maturità tecnica e ai ragazzi di undici anni. Ciò che unisce i paesi europei, ha detto Blanquer, sono le lingue antiche. “E, naturalmente, con questo fondo linguistico comune, si irradiano valori comuni”. Tra questi, “l’umanesimo”, “il culto della verità e della bellezza, la richiesta del logos, che si sta rivelando così necessaria nel nostro tempo in cui l’irrazionalità è dilagante. E ugualmente  la capacità di distinguere tra metafisica e politica, che risulta da una lunga maturazione della tradizione greco-romana unita alla tradizione giudaico-cristiana”. Ma Macron, sempre tramite Blanquer, ha messo un argine anche al “point médian” (punto mediano), un segno che separa e mette in evidenza le desinenze del maschile e del femminile. Uno degli strumenti usati in molti paesi occidentali per promuovere l’uguaglianza di genere. Ma per il governo francese, è una mostruosità e per questo ha ufficialmente bandito, con una circolare, l’uso della “scrittura inclusiva” spiegando che la sua “complessità” e “instabilità” costituiscono “ostacoli all’acquisizione del linguaggio oltre che alla lettura”.
  
A Lione, una delle prime misure prese dal Verde Grégory Doucet dopo la sua elezione è stata quella di adottare la scrittura inclusiva, come ha fatto il sindaco di Parigi Anne Hidalgo. Nei comunicati della France insoumise la scrittura inclusiva è la norma. L’Accademia di Francia ha bollato la scrittura inclusiva come un “pericolo mortale”. La sua segretaria, Hélène Carrère d’Encausse, rifiuta di femminilizzare il proprio titolo. Una “balbuzie ridicola” secondo Alain Finkielkraut.

 
Un altro ministro, quella dell’Università e della Ricerca, Frédérique Vidal, ha attaccato il sostegno sempre più ampio che trova l’“islamo-gauchisme” nelle università francesi.

 

Poi il caso Mila. E ancora una volta, a differenza di tutti i suoi predecessori, dall’Eliseo non sono arrivati inviti alla “responsabilità”, ma una robusta difesa della libertà di parola. “La legge è chiara: in Francia abbiamo il diritto alla blasfemia, alla critica della religione”, ha detto Macron. Tradotto: va protetto e garantito il diritto di criticare l’islam, visto che del cristianesimo si fa già strame e irrisione. Tre mesi prima, quando pezzi importanti della sinistra francese a Parigi marciarono contro l’“islamofobia”, Macron fece sapere che la sinistra aveva “venduto l’anima”. Le sue frasi furono riportate dal Canard enchaîné: “La parte di sinistra che vi ha partecipato ha voltato le spalle alla sua storia e ai suoi valori”, disse Macron. “Per tre voti alle elezioni comunali, manifestando al fianco di salafiti e antisemiti brevettati, hanno venduto l’anima”. Macron ha poi annunciato la stretta del finanziamento straniero alle moschee, la fine della nomina da parte di Algeria, Marocco e Turchia di trecento imam all’anno in Francia e una revisione dei corsi di turco e arabo. Gli imam, ha detto Macron, sono spesso legati al salafismo o ai Fratelli musulmani e “predicano contro la Repubblica”. La sua Amministrazione ha designato 47 distretti francesi in cui lanciare una “riconquista repubblicana”. Secondo Jean-Yves Camus, esperto di estremismo politico, si tratta di “misure che non erano mai state prese prima”.
  
Con una lettera sul settimanale Marianne sessanta intellettuali francesi si rivolgono a Macron. “Signor presidente, alcuni di noi ti sostengono, altri ti si oppongono. Qualsiasi concessione convincerà l’islam secessionista solo della nostra debolezza e lo incoraggerà a chiedere sempre di più”. Parlano di un “islam secessionista di violenti jihadisti, ma anche del salafismo e dei Fratelli musulmani, del wahhabismo e della Lega islamica mondiale, dei Milli Gorüs e dei Ditib, dei Tabligh”. I sessanta dicono che oggi “la priorità non è ‘organizzare l’islam in Francia’, ma riaffermare i princìpi della Repubblica laica, i princìpi di libertà di coscienza e quindi del diritto all’apostasia, del diritto di criticare le religioni”. A firmare l’appello autori di origini musulmane come Kamel Bencheikh, Zineb El Rhazoui e Mohamed Louizi; il filosofo Jean-François Braunstein e il saggista Pascal Bruckner; la sociologa Nathalie Heinich e il direttore di ricerca del Cnrs Philippe d’Iribarne; e ancora il giornalista Yves Mamou, il romanziere algerino Boualem Sansal e Pierre Vermeren, docente di Storia alla Sorbona.  

 
“L’ora è seria”,  ha detto l’esperto di islam Bernard Rougier. Ad aspettare Macron a Mulhouse c’era una donna in niqab, il completo islamico usato nei regimi della sharia. Vietato per legge in Francia. Ma l’islamismo conquistatore sta tastando il polso dello stato e della società francesi, arrivando a dieci centimetri dal volto di Macron.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.