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Sulle elezioni in Ungheria si sente l'eco della guerra in Ucraina

Matteo Muzio

Il professor Michael Ignatieff ci parla dell’Ucraina che verrà e delle scommesse sbagliate di Orbán


Certe perdite sono strazianti. Lasciano i loro cari distrutti. “Inconsolabili”, dice al Foglio in italiano il professor Michael Ignatieff, storico canadese, docente ed ex rettore alla Central European University, università allontanata dalla sua sede storica di Budapest e attualmente ospitata a Vienna.

Questo dolore lancinante però potrà avere, inaspettatamente, delle conseguenze positive: “Non voglio dire ai familiari delle vittime di questa terribile guerra che hanno un motivo per gioire, sarebbe troppo. Questo conflitto però sta creando un’identità ucraina che è quella di una nazione plurale”. Proprio la ricerca dei motivi di tanta sofferenza è il tema portante del suo ultimo libro “On Consolation”. Ingnatieff crede che difficilmente l’Ucraina, dopo quello che sta passando, diventerà un paese come quelli di Visegrád, una “democrazia illiberale” sul modello di Ungheria e Polonia: “E’ una società plurale e dovrà necessariamente rispecchiare la pluralità al suo interno. Trovo notevole che il governatore di una delle regioni sotto assedio dei russi sia di origine coreana. Non è però solo una questione identitaria. Gli ucraini hanno mostrato di saper far funzionare uno stato anche in tempo di guerra”.

Un altro dei temi che riguardano il futuro dell’Ucraina è stato sollevato da Ignatieff su un’editoriale pubblicato su Project Syndicate il 22 marzo: Qual è la strategia della Nato? Spiega Ignatieff: “La linea rossa dev’essere la tenuta della presidenza di Volodymyr Zelensky. C’è però un’ambiguità in questo: fino a che punto lo si vuole sostenere? Non è chiaro perché si esiti sulla consegna dei Mig-29 polacchi o a inviare segnali chiari su un possibile intervento a sostegno dell’Ucraina. E questa posizione finora non è cambiata”. Il blocco euroamericano è rimasto compatto finora sia sulle sanzioni sia sulla condanna del conflitto, dimostrando più unità “anche rispetto al 2014”, anno in cui Putin decise di annettere la Crimea alla Russia. E’ difficile però dire se questa compattezza durerà ancora: “Non sappiamo cosa potrà accadere tra sei mesi, perché l’aumento del prezzo del gas potrebbe avere il suo peso sulle decisioni. Per evitare una frattura, tutta l’Europa dovrebbe eliminare nel più breve tempo possibile la sua dipendenza energetica da Mosca e comprare il gas liquefatto da paesi democratici come il Canada e gli Stati Uniti”.

Uno dei membri dell’Unione europea, l’Ungheria, è l’anello debole di questa catena, al netto di qualche dichiarazione di circostanza. Ignatieff però minimizza la minaccia di un possibile veto da parte di Budapest. Non soltanto perché domenica 3 si vota in Ungheria e quindi Viktor Orbán potrebbe non essere rieletto, anche se i sondaggi lo danno in vantaggio. Ignatieff sostiene che pur essendo la partita molto equilibrata, la guerra in Ucraina può cambiare le carte: “Nel paese è molto viva la memoria del dominio sovietico. Mia moglie Zsuzsanna è cresciuta vicino a una guarnigione sovietica sul lago Balaton. Tutti camminavano sull’altro marciapiede, evitando quello di pertinenza della caserma”. Orbán però è un politico astuto, “mutante” lo definisce Ignatieff e potrebbe cambiare rapidamente idea: “Uno dei suoi motti è che fa quello che dice la sua gente. Adesso però si confronta con un isolamento crescente all’interno del gruppo di Visegrád, del quale era stato il leader informale. Alla fine, è tollerabile che faccia scelte diverse, fa parte della natura stessa delle alleanze. Ciò che non può essere tollerato è il passaggio di informazioni riservate verso Mosca. Questo non deve succedere in nessun caso”.

 

Per quanto riguarda invece la fine della guerra, nel libro di Ignatieff c’è anche un capitolo dedicato alla possibilità di accettare un patto con i propri persecutori, come fatto da Václav Havel, futuro presidente della Repubblica Ceca, quando era un dissidente nella Cecoslovacchia comunista: “Zelensky probabilmente dovrà rinunciare a qualcosa e fare scelte dolorose come Havel. Tenendo presente che, se lui non dovrà tradire la fiducia dei suoi cittadini, l’occidente non dovrà tradire la sua”. E quella di tutto un paese che ha mostrato tutto il suo attaccamento ai valori occidentali. 

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