Dall'Asia centrale non si va più in Russia, sono i russi ad andare lì

Davide Cancarini

Con l'invasione dell'Ucraina Putin ha reso la Russia uno stato canaglia e invertito il flusso di emigrazione che dagli angoli più remoti dello spazio post sovietico portava milioni di lavoratori a cercar fortuna a Mosca e San Pietroburgo. In due settimane circa duecentomila cittadini hanno lasciato la Federazione

Invadendo l’Ucraina, Putin è riuscito in poche settimane a rendere la Russia uno stato canaglia. Provocando un’unanime risposta internazionale, per ora solo economica, e gettando nel panico milioni di russi contrari al conflitto. Un altro record va ascritto all’inquilino del Cremlino: aver invertito il consistente flusso di emigrazione che dagli angoli più remoti dello spazio post sovietico portava milioni di lavoratori a cercar fortuna a Mosca e San Pietroburgo. Ora, anzi, sono gli stessi russi a cercare di abbandonare la madrepatria e la scelta della meta non è molto ampia considerando il bando  messo dai paesi europei per quanto riguarda i voli da e per la Russia. Ma questo non basta a scoraggiare chi vuole fuggire dal regime putiniano.

  
Anche se sui numeri esatti c’è ancora incertezza, la tendenza è evidente. Secondo alcune stime, nelle ultime settimane circa duecentomila cittadini russi hanno lasciato la Federazione, diretti soprattutto in Turchia, Georgia, Armenia e Asia centrale. Quest’ultima sta attirando un’inattesa attenzione, con il Kirghizistan che starebbe raccogliendo il flusso più consistente di migranti: a pesare sulla scelta il basso costo dei voli verso la regione, un atteggiamento generalmente positivo nei confronti dei russofoni da parte della popolazione locale e il basso costo della vita. Nessun problema dal punto di vista occupazionale, perché, a quanto pare, a partire dalla Russia sono soprattutto giovani liberi professionisti, in grado di lavorare ovunque vi sia una connessione a internet. Il fenomeno sta interessando anche i cittadini della Bielorussia, in fuga dalla repressione di Lukashenko e dalle sanzioni internazionali che stanno colpendo anche il loro paese

  
Ad attenderli in Asia centrale ci sono però situazioni economiche particolarmente difficili, anche per gli standard locali. Come detto, infatti, i migranti della regione stanno tornando a casa, o rinviando la partenza, per le difficoltà sempre maggiori di trovare un impiego in Russia. Per paesi che spesso sopravvivono grazie ai soldi inviati in patria dall’estero è un disastro. Le stime della Banca Mondiale sono impietose: l’organismo ha previsto per il 2022 un crollo delle rimesse verso il Kazakistan, l’Uzbekistan, il Tagikistan e il Kirghizistan pari rispettivamente a -17per cento, -21 per cento, -22 per cento e addirittura -33 per cento. Ma i numeri potrebbero essere molto più alti, senza considerare l’impatto che  potrebbe avere sui prezzi dei prodotti di prima necessità in vendita nei bazar di Bishkek o Almaty il bando russo delle esportazioni di materie prime agricole, esteso anche ai membri dell’Unione economica eurasiatica. 

  
Dietro alla decisione di tornare in Asia centrale ci potrebbe però essere anche un altro fattore, che poco ha a che fare con le difficoltà economiche e molto con quelle militari dell’esercito russo. Secondo alcune indiscrezioni, le forze armate russe starebbero infatti proponendo ai migranti con la cittadinanza della Federazione di arruolarsi, per sostenere lo sforzo bellico in corso in Ucraina, garantendo salari molto più alti di quelli di solito ottenuti dai lavoratori espatriati. Non solo: stando ad altre testimonianze, ad alcuni migranti in attesa della valutazione della propria richiesta di cittadinanza sarebbero stati offerti canali preferenziali per ottenerla in cambio di un ingresso nell’esercito russo, che ha bisogno di rifornimenti di mezzi e uomini. Al momento si tratta, come detto, di voci, ma l’ipotesi non sarebbe così assurda. Nonostante la cittadinanza russa non sia al momento una delle più ambite a livello internazionale, la consapevolezza di poterla sfruttare per muoversi più agilmente tra il proprio paese d’origine e la Russia e di avere maggiori chance di trovare un impiego quando la crisi sarà finita  potrebbe far gola a un lavoratore, proveniente dal Caucaso o dall’Asia centrale, alla ricerca di un futuro per sé e la propria famiglia. Anche a costo di firmare un patto col diavolo.

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