La guerra in Ucraina e l'energia, una sfida globale per la libertà

Claudio Cerasa

Non solo possibili effetti emulazione: l’aggressione russa disegna un mondo nuovo, diviso tra chi ha scelto di fare un passo avanti per emanciparsi dai regimi autoritari e chi ha scelto di allontanarsi dalla democrazia liberale 

Ha scritto con intelligenza Bret Stephens sul New York Times di qualche giorno fa che la posta in gioco in questa guerra, che giorno dopo giorno appare più simile a un conflitto mondiale che a un conflitto locale, è infinitamente più grande rispetto al destino dell’Ucraina. Lo è perché l’azione di Putin non ha a che fare solo con l’escalation militare in un paese europeo ma ha a che fare prima di tutto con l’escalation di un sistema di valori, perdonate la parola, che il presidente russo oggi impersonifica in modo perfetto: disprezzo per la vita umana, disprezzo per l’individuo, disprezzo per le norme internazionali, ricerca sfrenata del potere. Questi elementi, dice Stephens, non hanno limiti culturali e geografici e se Putin riuscirà a imporli in Ucraina non si vede come non si possa realizzare nel concreto una vecchia tesi di Tucidide: “I forti fanno quello che possono e i deboli soffrono quello che devono”. E l’effetto a catena prodotto dall’eventuale emulazione dell’aggressione russa – aggressione che i servizi di intelligence europei temono che possa spingersi anche al di là dell’Ucraina, arrivando alle porte della Moldavia e contribuendo ad alimentare una tensione strutturale all’interno della Bosnia – potrebbe generare delle conseguenze precise.

La Cina potrebbe sfidare velocemente l’occidente su Taiwan. L’Iran potrebbe armare ulteriormente le sue milizie in Iraq, Siria, Libano, a Gaza e nello Yemen. Il nuovo ordine mondiale determinato dall’aggressione della Russia presenta però alcuni elementi che riguardano qualcosa di diverso dall’effetto emulazione. E quel qualcosa è direttamente collegato alle implicazioni che ha la guerra della Russia su un altro fronte importante: quello del conflitto energetico.

Nel giro di una settimana, l’Onu ha votato due risoluzioni diverse per condannare l’aggressione della Russia in Ucraina. In un primo momento, il 26 febbraio, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha votato una risoluzione per chiedere a Mosca di fermare immediatamente le operazioni militari e in quell’occasione i voti favorevoli sono stati undici, i contrari uno (la Russia) e gli astenuti tre (Cina, India ed Emirati Arabi Uniti). Pochi giorni dopo, mercoledì scorso, è stata l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a votare con una sessione di emergenza una risoluzione per condannare l’invasione russa in Ucraina e dei 193 paesi membri quelli che hanno votato a favore sono stati 141, quelli contrari cinque (l’Eritrea, la Bielorussia, la Corea del Nord e la Siria, oltre alla Russia) e quelli che si sono astenuti 35. Samantha Power, rappresentante permanente per gli Stati Uniti d’America alle Nazioni Unite, ha fatto notare alcuni dati rilevanti, utili per inquadrare le coordinate del nuovo mondo. Primo: Cuba e Venezuela non hanno sostenuto la Russia. Secondo: gli Emirati Arabi Uniti, che la settimana precedente si sono astenuti nel voto alla risoluzione simile del Consiglio di sicurezza, in questa occasione hanno votato con l’Ucraina e lo stesso hanno fatto Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar e Arabia Saudita. Tra i paesi che si sono astenuti c’è invece la Turchia, che fino alla scorsa settimana ha scelto di non chiudere lo spazio aereo alla Russia, e che però è stata ringraziata pubblicamente dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky per aver vietato l’ingresso di navi da guerra russe nel mar Nero attraverso il Bosforo e lo stretto dei Dardanelli, dimostrando che la sua appartenenza alla Nato non è solo nominale (in Siria da anni Erdogan combatte anche contro gli amici della Nato: i curdi).

E gran parte di queste oscillazioni, comprese quelle della Cina e dell’India, si possono spiegare con un tema che riguarda il futuro energetico di questi paesi. L’accelerazione della transizione ecologica imposta dagli impegni internazionali assunti dai paesi del G20 ha spinto Cina e India ad accelerare sul passaggio progressivo dalla stagione del carbone a quella del gas. La Cina – che condivide con la Russia un confine di oltre 2.600 miglia e che negli ultimi anni è diventata la principale fonte di importazioni della Russia e la principale destinazione per le sue esportazioni – nel 2005 consumava 86 miliardi di metri cubi di gas, poco più di quanti ne consuma oggi l’Italia, circa 74 miliardi, e nel 2021 è passata a consumare circa 370 miliardi di metri cubi di gas, quasi quanto l’intera Unione europea e si stima che da qui al 2030 avrà bisogno ci circa 570 miliardi di metri cubi di gas.

Gli accordi di Parigi sulla transizione energetica hanno reso tutti i paesi che usano idrocarburi molto più dipendenti dal gas russo e non è un caso che l’attacco della Russia in Ucraina sia avvenuto poche settimane dopo, e non prima, la firma di uno storico accordo tra Cina e Russia avvenuto il 4 febbraio, quando la società gasifera statale russa Gazprom e la compagnia petrolifera Cnpc, controllata dal governo cinese, hanno firmato un contratto di compravendita di gas a lungo termine, della durata di trent’anni, per un totale di 48 miliardi di metri cubi di gas aggiuntivi ogni anno, dagli attuali 16,5 (la Russia è il terzo fornitore di gas della Cina, la Cina rappresenta il 6,7 per cento delle esportazioni russe di gas naturale nel 2021). Lo stesso percorso dovrà seguire anche l’India (che, by the way, ha il 60-70 per cento del suo equipaggiamento militare è di origine russa: l’India dipende dalla Russia per equipaggiamento e pezzi di ricambio) che in seguito agli accordi di Parigi ha scelto di eliminare gradualmente il carbone dal suo mix energetico primario e di scommettere sul gas, insieme a prodotti derivati come l’idrogeno blu, per iniziare un percorso verso la riduzione delle emissioni (è destinato all’India circa lo 0,2 per cento delle esportazioni di gas naturale della Russia, e la società di gas più importante del paese, la Gail, ha firmato nel 2018 un accordo ventennale con Gazprom).

Di riflesso, come ha fatto notare il 1° marzo il Wall Street Journal, a febbraio, per la prima volta in assoluto, le esportazioni statunitensi di gas naturale liquefatto verso l’Europa hanno superato le consegne dei gasdotti russi e le esportazioni russe, che normalmente rappresentano circa il 30 per cento del consumo di gas in Europa, sono diminuite notevolmente a causa dei prezzi russi: “Con i prezzi del gas europei circa quattro volte più alti del normale, le esportazioni statunitensi sono aumentate per colmare il divario”. Il nuovo ordine determinato dall’aggressione della Russia in Ucraina illumina un mondo nuovo all’interno del quale la linea di frattura tra i grandi paesi del mondo non è più, come nella stagione pandemica, una battaglia fra teorici dell’apertura e sostenitori della chiusura ma è una battaglia tra chi ha scelto di tutto per fare un passo in avanti per emanciparsi dalle non democrazie e chi ha scelto di fare un passo ulteriore per allontanarsi dalla democrazia liberale. La sfida tra Russia e Ucraina, in fondo, è tutta qui. Dalla parte della libertà: sì oppure no?
 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.