Il presidente bielorusso Lukashenka qualche giorno fa ha mostrato la strategia militare russa al confine tra Ucraina e Moldavia 

Si parla di un rischio Moldavia dopo l'invasione dell'Ucraina

Giulia Pompili

Per l’alleanza atlantica è il prossimo obiettivo di Putin.  I soldati russi nel paese e la voglia di Ue

Ieri l’autoproclamato governo della repubblica separatista di Transnistria, in Moldavia, ha chiesto alla comunità internazionale di riconoscere la propria indipendenza. La richiesta è arrivata poche ore dopo la domanda ufficiale del governo moldavo di entrare nell’Unione europea, con cui la Transnistria, una striscia di terra filorussa che divide l’Ucraina dalla Moldavia, non è d’accordo. E’ in quell’area che, secondo diverse fonti e secondo documenti che circolano in questi giorni tra i ministeri degli Esteri occidentali, potrebbe aprirsi un’altra area di crisi con la Russia.


Forse dopo lo sbarco a Odessa (che dista un centinaio di chilometri dal capoluogo della regione autonoma della Transnistria, Tiraspol) e l’invasione dell’intera parte sud dell’Ucraina. Mercoledì scorso l’Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, è andato in visita a Chisinau, la capitale della Moldavia, e ha detto che  quello è “uno dei paesi in cui pensiamo che la pressione russa possa aumentare nei prossimi giorni”. L’altro ieri c’è stato il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, e  oggi arriva il segretario di stato Antony Blinken, che andrà a discutere del “sostegno degli Stati Uniti alla sicurezza e all’integrità territoriale del paese”. La Transnistria potrebbe essere un nuovo Donbas, si dice tra le sedi diplomatiche, e la situazione effettivamente è molto simile: a soli ottanta chilometri da Chisinau, la Transnistria, con circa 450 mila abitanti, non è riconosciuta dalla comunità internazionale ma ha il suo “esecutivo” e la sua moneta corrente, il rublo transnistriano. E in Transnistria ci sono i soldati russi. Sono lì per difendere Cobasna, una cittadina a un paio di chilometri dal confine ucraino che ospita il più grande deposito militare di epoca sovietica dell’est Europa. Si sa poco di cosa ci sia effettivamente dentro al deposito, ma secondo i dati ufficiali del governo moldavo conterrebbe ancora una scorta di circa 22 mila tonnellate di munizioni, un’eredità dell’Armata rossa. Da tempo il governo moldavo chiede alla Russia di disfarsi di quelle munizioni ma niente è mai avvenuto, e di Cobasna si parlò di nuovo dopo l’esplosione nell’area del porto di Beirut del 4 agosto del 2020, perché secondo l’Accademia delle scienze moldava  in caso di esplosione il deposito avrebbe gli stessi effetti di una bomba atomica.  

 

Oltre ai soldati russi che proteggono Cobasna, in  Transnistria ci sono ancora un numero imprecisato (in alcuni documenti si parla di 500, in altri di oltre 1.500) di uomini delle “Forze di peacekeeping” russe, le divisioni rimaste lì dopo il cessate il fuoco del luglio del 1992 che mise fine a cinque mesi di guerra civile tra la neonata Repubblica di Moldavia e la Repubblica moldava di Pridniestrov. “I peacekeeper servono alla Russia a controllare la Moldavia”, dice al Foglio Nona Mikhelidze, analista dell’Istituto Affari Internazionali, “e in vari periodi della storia post sovietica a influenzare i vari governi”, anche con un’azione di deterrenza. La sola presenza dei soldati russi nell’est della Moldavia però forse non basta più, perché nel 2020 viene eletta Maia Sandu, e a Chisinau arriva un governo molto europeista, contro “l’occupazione militare russa”, e la tradizionale neutralità della Moldavia cambia. “La Moldavia è per legge neutrale, ma vuole integrarsi nel modello europeo”, spiega Mikhelidze. E’ un processo iniziato almeno dal 2004, accelerato dopo la guerra di Putin contro la Georgia nel 2008 e poi nel 2014, dopo EuroMaidan in Ucraina. Moldavia, Georgia e Ucraina sono intimamente legate dalla storia ma anche da un ineluttabile avvicinamento all’Ue. Quello che Putin vuole fermare. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.