Le due povere pedine filorusse nel Donbass

Daniele Raineri

Mosca sfrutta le regioni separatiste di Donetsk e Lugansk: quella in corso non è un’evacuazione ma una deportazione di massa 

Poveri territori filorussi dell’Ucraina, usati con cinismo da Mosca come un’arma per prevalere nel confronto con la comunità internazionale. Di Donetsk e di Lugansk, come del maiale, non si butta via nulla: i due oblast in questi anni sono stati sfruttati dal punto di vista militare, politico, diplomatico e anche umanitario. Fino a ieri, quando sono stati riconosciuti come “repubbliche popolari” indipendenti dalla Russia. Adesso la prima cosa da capire è se il territorio delle due “repubbliche” è soltanto quello sotto il controllo dei miliziani filorussi dal 2014 oppure quello delimitato dai confini ufficiali delle due regioni. Nel secondo caso, vorrebbe dire che le due “repubbliche” fresche di conio rivendicano molto più territorio di quello che occupano al momento, quindi se i russi alleati e amici volessero ci sarebbe il pretesto per un conflitto che avrebbe come scopo la liberazione delle due regioni per intero, incluse le parti che ora sono – sempre secondo questa versione scritta dal Cremlino – sotto l’occupante ucraino. 

 

Vorrebbe dire che russi e repubblichini potrebbero pretendere la conquista di Mariupol, città da mezzo milione di abitanti sulla costa, in direzione della Crimea già occupata per decisione di Putin nel 2014. L’opera di dismembramento dell’Ucraina da parte della Russia diverrebbe ancora più vasta. E questa potenziale guerra dei russi per appoggiare le “repubbliche” alleate diverrebbe un bubbone aperto ancora più problematico per gli anni a venire – se pure non diventasse un conflitto definitivo contro l’Ucraina. 

 

La mossa di Putin uccide gli accordi di Minsk due, che fino a ieri erano considerati troppo vantaggiosi per il Cremlino e che invece adesso sono superati dalla realtà. Si pensava che Putin volesse usare Minsk due come un grimaldello. L’idea era questa: fare pressione sui governi occidentali perché costringessero il governo dell’Ucraina ad accettare gli accordi di Minsk due, proposti nel 2015. Gli accordi erano considerati da molti ucraini come una capitolazione alla Russia perché contengono alcune clausole che conferiscono alle due regioni separatiste il diritto di veto su molte questioni importanti – incluse le grandi decisioni internazionali. Vuol dire che se fossero entrati in vigore gli accordi allora Donetsk e Lugansk, di fatto in mano ai russi, avrebbero potuto bloccare qualsiasi avvicinamento dell’Ucraina all’Unione europea o alla Nato. Mosca, si pensava, avrebbe presentato questo accordo come una soluzione di ripiego alla quale non si poteva dire di no perché avrebbe prevenuto un conflitto disastroso, ma in pratica avrebbe ottenuto l’esatto risultato voluto da Putin con l’ammassamento drammatico di truppe e carri armati al confine con l’Ucraina. 

 

In breve: le regioni di Donetsk e Lugansk sono state e sono una spina nel fianco dell’Ucraina e dei suoi alleati, che è una metafora abusata ma in questo caso si presta bene. E Putin quella spina la manovra con versatilità e a piacimento. E’ quello che sta succedendo in queste ore. Ieri, quando con puntualità da sceneggiatura di teatro i due leader delle regioni separatiste hanno chiesto che fosse riconosciuta l’indipendenza, si è capito che Putin aveva lasciato cadere Minsk e aveva accelerato. In quelle stesse ore a Mosca c’era il Consiglio di sicurezza presieduto dal presidente russo Vladimir Putin (forse registrato in anticipo). Poi è arrivato il discorso in tv e la firma del riconoscimento delle due repubbliche. Tutto in sequenza, tutto artificiale, tutto sulla testa di milioni di persone. 

 

Secondo la versione della propaganda del Cremlino, da venerdì è in corso l’evacuazione degli abitanti delle due regioni con lo scopo di metterli in salvo da un imminente assalto su larga scala dell’Ucraina. I profughi sono spostati oltre confine, in territorio russo, dove sono accolti con cento euro e un posto letto. In realtà non c’è un assalto su larga scala da parte dell’Ucraina – sarebbe una follia in questo momento, con forze militari russi enormi a pochi chilometri, pronte a combattere – e quindi è in corso una deportazione della popolazione del Donbass verso la Russia, per scopi di propaganda politica. Alcuni non trovano posto a Rostov, la prima città russa dopo il confine, e quindi sono spediti molto più a est e più lontano, senza sapere quando torneranno. Per ora sono circa cinquantamila e le loro immagini hanno riempito i social e i notiziari. La deportazione in teoria è forzata, non ci si può sottrarre. Molti scelgono di scappare, se proprio si deve, in direzione opposta: verso l’Ucraina. Al valico di Stanytsya Luhanska passano molte donne con bambini, che preferiscono restare nel paese – quello dal quale in teoria i loro leader chiedono la separazione – piuttosto che salire sui bus e sui treni diretti verso la Russia.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)