Meno cannoni, più amore

Quei soldi russi a Londra che non dispiacciono troppo a Boris

Daniele Raineri

Non c’è soltanto la compagna del ministro Lavrov con le sue proprietà di lusso, l’establishment putiniano coltiva interessi e influenze enormi nel Regno Unito. Il primo ministro inglese può davvero fare il duro con loro?

Lunedì il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha detto al presidente Putin davanti alle telecamere che “ci sono ancora chance di trovare un accordo sull’Ucraina con l’occidente”. Putin ha risposto: “Bene”. Il ministro ha una faccia di pietra, ma dev’essere stato un sollievo per lui vedere nelle ultime ventiquattr’ore le possibilità di pace aumentare e la minaccia di sanzioni personali da parte dei governi europei diminuire in modo complementare. A settembre un sito d’informazione russo, iStories, aveva pubblicato uno scoop sull’amante di Lavrov, una dipendente del ministero degli Esteri che si chiama Svetlana Polyakova – ma per gli amici: Svetlana Lavrova. La donna come molti potenti russi passa gran parte del suo tempo a Londra con la famiglia e possiede a suo nome proprietà per più di tredici milioni di dollari poco compatibili con la paga del ministero. La figlia della donna, ventun anni, studia al Imperial College e vive in una casa nel quartiere londinese di Kensington che vale più di quattro milioni di euro. Lavrov ha un lato londinese che coltiva con discrezione e dunque non è vero, come ha detto l’ambasciatore russo in Svezia al tabloid Aftonbladet, “non ce ne frega un cazzo delle sanzioni dei governi occidentali”. Nel frattempo il sito di notizie che ha fatto lo scoop sull’amante del ministro  è stato dichiarato “agente straniero” dal governo russo e quindi adesso per continuare a lavorare deve sottostare a una serie di restrizioni costose.

 

La crisi in Ucraina ha di nuovo portato l’attenzione su una questione che crea imbarazzo: Londra condivide interessi enormi con l’establishment putiniano e ricicla una massa importante di denaro russo. Al punto che è difficile dire se il primo ministro, Boris Johnson, può davvero prendere decisioni con serenità. Da quando è arrivato al potere nel 2019 il suo partito conservatore ha ricevuto più di due milioni e mezzo di euro da donatori russi, secondo i rendiconti ufficiali. Gli oligarchi russi fanno parte del paesaggio londinese che conta, sono influenti, possiedono squadre di calcio come il Chelsea di Roman Abramovich e giornali come l’Evening Standard acquistato dal miliardario (ed ex agente del Kgb) Alexander Lebedev e in questi anni hanno messo radici molto profonde. Pensare di imporre sanzioni contro di loro adesso come rappresaglia per le operazioni di Putin è diventato molto complicato.  La questione era già stata sollevata nel 2018, quando due spie russe avevano avvelenato con il gas nervino un disertore e nell’operazione avevano ucciso una donna inglese, ma poi la questione si era arenata e le regole che avrebbero dovuto rendere più trasparenti gli affari dei russi a Londra si erano bloccate. Il risultato di quello scandalo era stato un rapporto prodotto dalla commissione Esteri del Parlamento che aveva come titolo: “L’oro di Mosca. La corruzione russa nel Regno Unito”. Il rapporto di quattro anni fa avvertiva: per il governo ignorare il ruolo di Londra nel nascondere i profitti della corruzione legata al Cremlino rischia di lanciare il messaggio che il Regno Unito non è serio quando si tratta di affrontare le operazioni aggressive del presidente Putin”.

 

Lunedì Johnson ha dichiarato che “tutti i paesi europei devono sconnettere Nord Stream – il gasdotto che porta il gas russo in Europa – dal proprio sistema sanguigno, devono strappare via la flebo che li nutre con gli idrocarburi russi. Dobbiamo trovare fonti di energia alternativa ed essere pronti a imporre conseguenze economiche molto molto severe alla Russia”. Il discorso è razionale, ma anche furbo. La Gran Bretagna a differenza dell’Europa continentale in pratica non importa quasi nulla di gas dalla Russia perché si rifornisce dalle piattaforme di estrazione nel mare del Nord e dalla Norvegia. Anne Applebaum, la scrittrice dell’Atlantic che da anni sostiene la necessità di riconoscere che Putin è una minaccia, ha fatto notare che l’appello di Johnson all’Europa “è eccellente” ma ora il primo ministro inglese dovrebbe anche “annunciare i nomi e gli indirizzi degli oligarchi russi a Londra che saranno colpiti da sanzioni – e quali fonti di profitto, donazioni ai Tories e proprietà a Mayfair/Knightsbridge/Surrey sono sotto indagine”.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)