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antidoti alla crisi demografica

L'equivoco della "grande sostituzione"

Luca Gambardella

Una legge in Canada rivoluziona il mercato del lavoro attraverso la regolarizzazione degli immigrati e l'economia vola. In Francia invece si rimane a parlare di fantomatiche teorie del complotto per rincorrere la destra estrema

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Si potrebbe definire un equivoco, un fraintendimento che ha travalicato i confini degli stati europei, diffondendosi  a tal punto da rendere difficile rintracciarne le origini. E’ l’“equivoco della sostituzione”, meglio noto ai sovranisti come  “piano Kalergi”, dal nome del filosofo del XIX secolo le cui tesi originarie, inclusive e progressiste, furono travisate e reinventate nel 2005 da un neonazista austriaco, Gerd Honsik. Cinque anni dopo fu lo scrittore francese di estrema destra Renaud Camus a teorizzare in modo ancora più compiuto il concetto, con il suo libro Abécédaire de l’in-nocence.

 

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La tesi di fondo è che la civiltà europea sarà rimpiazzata dagli immigrati provenienti da Africa e Asia con un processo studiato a tavolino da non meglio identificate élite occulte. Fra i primi a non sapere resistere al richiamo di questa teoria del complotto ci furono Giorgia Meloni e Matteo Salvini: “Prove generali di sostituzione etnica in Italia”, scriveva la leader di Fratelli d’Italia nel 2016. “Nel 2015 più di 100 mila italiani hanno lasciato la nostra nazione per cercare fortuna all’estero. In compenso, sempre nel 2015, sono sbarcati in Italia 153 mila immigrati, nella stragrande maggioranza uomini africani”. E’ in corso “un’invasione pianificata del nostro paese. Un tentativo di sostituzione etnica dei nostri lavoratori con dei disperati”, faceva eco il segretario della Lega nel 2018. Come ogni teoria del complotto che si rispetti, quella della sostituzione può contare su un polo culturale di riferimento  – costituito dal think tank olandese Gefira – e un nemico per antonomasia – il miliardario George Soros. Ma quella complottarda è una tentazione trasversale, capace di fare breccia non solo fra sovranisti e identitari, ma anche fra i cosiddetti moderati. 

 

Così, domenica scorsa,  la candidata all’Eliseo dei Républicains francesi, Valérie Pécresse, durante il suo comizio allo Zénith di Parigi ha scandito: “No alla grande sostituzione”. Il giorno dopo, il Monde ricordava che una delle ultime volte che si era sentito parlare di “grande sostituzione” era stato nel 2019, quando il 28enne australiano Brenton Harrison Tarrant uccise 51 musulmani a Christchurch, in Nuova Zelanda, rivendicando la teoria della sostituzione e il terrore che suscitava in lui “un mondo occidentale invaso da non europei”. Per la candidata socialista Anne Hidalgo le parole della Pécresse hanno “varcato un Rubicone” della decenza, andando a rincorrere l’elettorato di estrema destra che si lascia ammaliare da Éric Zemmour – uno dei principali sostenitori della teoria della “sostituzione”. 

 

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Ma a ben vedere – e qui emerge l’equivoco – se i partiti vicini alle tesi identitarie usano il termine per giustificare la necessità di alzare i muri, gli economisti fanno riferimento a un’altra “sostituzione”, che andrebbe auspicata: è il “tasso di sostituzione”, ovvero il tasso con cui le nuove generazioni prendono il posto di quelle più anziane rendendo sostenibile l’attuale sistema economico. Secondo la Banca mondiale, in 75 paesi del mondo questo tasso è al di sotto del 2,1, ovvero il livello considerato minimo, sotto al quale la popolazione tende alla decrescita. Entro la fine del secolo sarà al di sotto di 2,0. Per il 2050 la fascia di popolazione lavorativa compresa fra i 15 e i 64 anni diminuirà del 20 per cento in Cina, Italia, Germania e Corea del sud (in Giappone del 40 per cento) con una perdita di 3 mila miliardi di dollari di pil mondiale entro il 2030. 

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Se in Francia e Italia è stato creato un sistema di quote (o flussi) per accogliere i migranti e sopperire alla mancanza di manodopera, in Canada hanno trovato invece una soluzione più tranchant: battere ogni record di accoglienza, con 401 mila nuovi residenti regolarizzati nel 2021 e altri 430 mila previsti per il 2022. Le industrie canadesi alla ricerca di manodopera specializzata chiedono al governo che le nuove regolamentazioni aumentino ancora di più, arrivando a quota 500 mila. La popolazione canadese ha raggiunto i 37 milioni lo scorso anno, con un tasso di crescita doppio rispetto alle altre economie sviluppate, il più veloce degli altri paesi del G7 negli ultimi cinque anni. “Lanciando il piano migratorio più ambizioso della storia, doteremo il Canada dei lavoratori di cui abbiamo bisogno”, ha detto ieri il ministro dell’Immigrazione Sean Fraser. Eccola la “teoria della sostituzione” in versione canadese: con 5 milioni di persone prossime al pensionamento entro il 2030, dice il governo di Justin Trudeau, la manodopera degli immigrati assicurerà un ricambio pari al 100 per cento.  E nella Francia di Pécresse? Entro il 2050, secondo l’ultimo rapporto del Center for Global Development, Parigi avrà bisogno di 3,9 milioni di lavoratori in più per sostenere l’attuale sistema pensionistico. L’Europa intera avrà bisogno di 95 milioni di persone abili e arruolabili. L’inseguimento della retorica dell’estrema destra può attendere.                           

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