I rassemblement

Appunti europei di unione per le destre, a meno che Salvini non pensi solo a Trump

Paola Peduzzi

L'arte della tessitura di Jacques Chirac, passando per una successione malriuscita fino a oggi, con la Pécresse. L'ambizione di assomigliare ai repubblicani americani e i compromessi che soltanto i tedeschi sanno accettare

I più esperti nel creare federazioni repubblicane, come dice di voler fare Matteo Salvini, sono i francesi. Lo hanno fatto più volte alla fine del Novecento e all’inizio di questo secolo, per sanare faide e per unire diverse anime della destra: i Républicains di oggi sono l’ultima trasformazione di questa storia, che ha un nome di riferimento, ed è quello di Jacques Chirac. Lui creò il primo rassemblement, l’Rpr, e il secondo, l’Ump.

L’Rpr, il Rassemblement pour la République, nasce nel 1976 dagli scontri di Chirac con  Valéry Giscard d’Estaing, a sua volta un federatore ma più centrista e liberale rispetto a Chirac, che voleva unire, disse allora, tre mesi dopo aver lasciato l’incarico di primo ministro, “la difesa dei valori essenziali del gollismo alle aspirazioni di un vero laburismo francese”. Era una sintesi venata di molte contraddizioni: le analogie con il presente sono difficili da delineare, ma certo c’erano anche allora conflitti sul tema europeo e sulla cessione di sovranità a un’entità sovranazionale, così come sull’interventismo dello stato nell’economia e i rapporti atlantici. Le famiglie europee erano ancora in divenire, così risuonava l’aspirazione  a diventare come il Partito repubblicano americano, un grande contenitore in grado di creare un dialogo interno virtuoso. Non accadde: in Europa la replica dell’esperienza americana funziona poco, non soltanto perché non c’è un bipartitismo perfetto ma perché più che le sintesi vincono le differenziazioni, o le porte sbattute. E se si riesce a creare un partito di sintesi, com’è per esempio la Cdu tedesca, poi però si deve accettare il fatto di poter arrivare a governare in coalizioni sulla carta inaccettabili, come quelle con la sinistra. O anche di perdere dei pezzi, com’è accaduto con l’AfD sempre in Germania, fondata da ex conservatori che volevano maggiore rigore sui conti e  più sovranismo economico. Anche il Partito conservatore inglese, che assomiglia a quello repubblicano, in realtà ha perso dei pezzi a destra, con la nascita dell’indipendentismo antieuropeo e la Brexit. In America tutto questo non accade, ci si distrugge semmai internamente, come sta accadendo adesso ora che il Partito repubblicano è diventato il partito di Donald Trump.

Il punto dirimente delle federazioni o delle convivenze è sempre lo stesso: che cosa ci tiene insieme? A quale delle nostre diversità siamo disposti a rinunciare pur di stare nella stessa casa? Nel 2002, quando Chirac abbandona l’Rpr e lancia l’Ump, l’Union pour un mouvement populaire, ha due obiettivi: spostarsi un pochino più verso il centro, e infatti confluiscono dentro l’Unione anche molti ex liberali, e poi delineare una sua linea di successione. Il prescelto è Alain Juppé, ma sappiamo che poi l’erede pratico, forse nemmeno voluto, della stagione dell’Ump è Nicolas Sarkozy. Il ritorno al semplice e intuitivo Républicains, nel 2015, è questo sì un gesto più cosmetico che altro: a quel punto il gollismo è diventato una big tent che va dal centro fino al confine dell’estrema destra, presidiato da decenni in modo esplicito e vigoroso dalla famiglia Le Pen. Quel confine è diventato poroso, anche perché c’è stato il terremoto centrista del macronismo, che ha costretto molti ad assestarsi agli estremi. Ora che lo smottamento è stato assorbito, i Républicains guidati da Valérie Pécresse si fanno di nuovo federazione di fatto: dagli scontenti del macronismo fino al solito limite a destra. A dimostrazione che non è data un’unione senza un traino strategico, altrimenti si finisce come con i repubblicani americani, obbligati a stare insieme e a mettersi il cappellino rosso trumpiano per poter esistere.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi