San Francisco sta male
“San Fransicko” racconta il declino della città, le responsabilità dei liberal e della cultura del vittimismo. L’autore del saggio, Michael Shellenberger, ci spiega cosa ha determinato “il graduale decadimento”
A domanda specifica se il titolo del suo libro è volutamente provocatorio, Michael Shellenberger risponde: “È il più accurato. È stato detto che non è il libro definitivo su San Francisco, ma non voleva nemmeno esserlo. Si intitola così perché è il mio tentativo di rispondere alle domande sul declino della città”. Provocatorio o no, consapevole delle offese che sta scatenando o no, “San Fransicko: Why Progressives Ruin Cities” uscito poco più di un mese fa sta facendo discutere, ancora di più perché scritto da un (forse ex) progressista. “Sono cresciuto in Colorado”, racconta Shellenberger via Zoom. “Mi sono trasferito in California nel 1993 dopo la laurea. Ora vivo a Berkeley, ma tra il 2009 e il 2011, mentre uscivo con quella che è poi diventata mia moglie, ho vissuto a San Francisco. Ho lavorato per la fondazione di George Soros, l’Open Society Institute, sostenendo la riforma della giustizia penale. Ho praticamente smesso di fare quel lavoro intorno al Duemila per concentrarmi sull’ambiente e quando ho smesso pensavo che l’obiettivo fosse di imporre più cure farmacologiche e mandare meno persone in prigione. Purtroppo non è successo. In compenso è successo che abbiamo smesso di far rispettare le leggi e di cercare di influenzare qualsiasi comportamento. Il risultato è anche nell’aumento dei decessi per droga: da 17.000 siamo passati a quasi centomila l’anno scorso”.
I dati a cui si riferisce sono quelli relativi all’aprile 2020-aprile 2021, quindi durante pandemia, un periodo che ha visto un aumento di quasi il 30 per cento di overdosi rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e che fa della droga una causa di morte superiore agli incidenti stradali e alle armi da fuoco messe insieme. “Un’epidemia da abuso di droga completamente fuori controllo”, la descrive il giornalista Sam Quinones che, nel suo libro “The Least of Us – True Tales of America and Hope in the Time of Fentanyl and Meth”, racconta di come le droghe sintetiche producibili ovunque e a basso costo abbiano ormai soppiantato quelle a base naturale – l’eroina, per esempio – e di come i loro effetti secondari – sintomi psicotici, vagabondaggio, asocialità, incapacità di gestire incombenze minime come pagare l’affitto – siano alla base di molti dei fenomeni visibili ormai in tutte le grandi città americane.
“San Francisco è andata incontro a un graduale decadimento”, dice Shellenberger: “Stavo giusto guardando i dati su taccheggio e furto: c’è stato un picco all’inizio degli anni Novanta, poi un declino fino al 2004 e poi una risalita dal 2004 ad oggi. Il dato è diminuito un po’ durante il Covid solo perché non c’era niente da rubare, ma in generale è una storia di declino che peggiora gradualmente da 15 anni e che è accelerata negli ultimi cinque”. Nel suo libro riporta anche altri dati: nel 2018 ci sono state 20.933 chiamate per segnalare feci umane nelle strade. Nel 2019 la città ha speso 100 milioni di dollari per pulirle, quattro volte di più di Chicago, che ha 3,5 volte più persone ed è 4,5 volte più grande. La popolazione dei senzatetto che non dormono nei rifugi ma per strada – i cosiddetti unsheltered homeless – è aumentata del 95 per cento in 15 anni (mentre a Miami è diminuita del 50). L’anno scorso a San Francisco ci sono state 6.275 denunce per uso di aghi ipodermici nei luoghi pubblici. Nel 2001 la città aveva dato tra i 320 e i 395 dollari in contanti al mese ai senzatetto mentre Oakland, dall’altra parte della baia, ne dava 24.
Secondo l’autore se si incrociano i dati sul consumo di droga con quelli dei senzatetto è facile capire come sono stati spesi quei soldi. “La mancanza di un sistema psichiatrico funzionante e di cura delle dipendenze, la liberalizzazione e la normalizzazione dell’uso di droghe pesanti (nel 2020 la città ha affisso cartelloni che promuovevano l’uso sicuro di eroina e fentanyl: ‘Cerca di non usarli da solo. Fallo con gli amici. Usali con le persone e fate a turno’) sono sicuramente tra le cause del problema. Ma come lo è la politica abitativa Housing First che sostiene che le persone abbiano diritto a un alloggio indipendentemente dalla loro condizione di dipendenza e di trattamento, al contrario di una politica Housing Earned o anche di una politica di prima accoglienza e trattamento dove l’alloggio è una ricompensa per l’astinenza o per altri passi positivi verso il miglioramento del proprio progetto personale”.
Presente a livello federale dagli anni Novanta e implementata soprattutto nelle città a guida democratica, Housing First è una delle politiche più discusse degli ultimi venti anni e su cui esistono pareri discordanti a seconda dell’ideologia politica. Nel 2019, l’Amministrazione Trump aveva iniziato a riformare i finanziamenti dedicati, consentendo di aggiungere dei requisiti per i partecipanti a un modello che nasce come incondizionato. I successivi tentativi guidati da un ordine esecutivo di sgombrare la tendopoli di Skid Row a Los Angeles erano però sembrati più mosse politiche per imbarazzare gli avversari democratici che la soluzione a un problema così radicato. Ma se in Finlandia Housing First ha funzionato egregiamente anche grazie ai servizi di sostegno che venivano erogati insieme all’abitazione, in America la mancanza di letti nei reparti di psichiatria, di centri di riabilitazione, di posti letto nei rifugi rende qualsiasi soluzione temporanea e inefficace. “L’ultima idea è di sistemare i senzatetto nelle camere d’albergo”, prosegue Shellenberger, “ma non funzionerà perché nel frattempo la crisi da dipendenza da droghe sta prendendo il sopravvento e nessuno sa come risolverla. La California ha speso un sacco di soldi per la salute mentale, più di due miliardi l’anno. Spendiamo più soldi pro capite di qualsiasi altro stato e abbiamo i risultati peggiori. Il motivo è che tutto ciò che facciamo per la salute mentale deve essere al cento per cento su base volontaria. Ma essere un tossicodipendente, un eroinomane ed essere gravemente malato di mente non è poi così diverso. La dipendenza è una specie di malattia mentale ed entrambe richiedono che le cure mediche consistano in una certa quantità di intervento, mentre gli ultra progressisti considerano il trattamento al netto di qualsiasi intervento costrittivo, inclusa la semplice applicazione della legge. La loro idea di fondo è che nulla deve essere richiesto e tutto deve essere dato alle persone che ne hanno bisogno. È l’ideologia della vittima, una visione che deriva a sua volta da una visione di sinistra radicale che parte da Rousseau: il sistema come causa del male, i capitalisti come criminali, il sistema capitalista e il sistema di giustizia penale come sistemi da combattere. Le uniche vittime che contano sono le vittime di questi sistemi e l’unica speranza è abbatterli, perché solo così si avrà un mondo senza disuguaglianza e sofferenza. È una vecchia storia, ma è stata portata al suo estremo più estremo nei luoghi in cui comandano i democratici più radicali”.
Ecco spiegato il sottotitolo del suo libro. Nota bene: Shellenberger non dice che soltanto i progressisti rovinano le città, spiega le ragioni per cui le città governate dai progressisti che sono allo sbando sono simili. “Guardo al più ampio cambiamento culturale, al fatto che ormai non si educa, ma si vizia, si viziano i bambini e gli adulti. In California abbiamo depenalizzato il possesso di tre grammi di droghe pesanti. Abbiamo anche depenalizzato il furto di beni per un valore fino a 950 dollari, che possono benissimo essere i soldi che le persone usano per sostenere le loro abitudini in termini di sostanze stupefacenti. Il tutto in un clima di atteggiamenti più liberali da parte degli elettori, dei politici, dei giudici, delle giurie, dei pubblici ministeri, degli avvocati difensori e di tutta la società che crede che sia meglio essere più morbidi con chi vìola la legge”.
“Shellenberger sorvola sul fatto che il sistema di giustizia penale americano ha a lungo discriminato per razza e classe nella direzione opposta e che i tentativi di riforma esistono in quel contesto”, gli risponde sul San Francisco Examiner Benjamin Schneider. “I recenti aumenti dei crimini contro la proprietà e degli omicidi in città come San Francisco si verificano anche all’interno di un drammatico calo della criminalità che ha corrisposto a una significativa diminuzione delle carceri. Shellenberger non rivolge alcun pensiero alle vite e alle comunità che sono state migliorate da un sistema di giustizia penale meno punitivo e carcerario”.
Secondo un’analisi del New York Times sui dati dell’Fbi, sono le città piccole e medie a essere diventate più violente: nel 2020 il 4 per cento degli omicidi statunitensi si è verificato a New York e Los Angeles, rispetto al 14 per cento del 2019. Non solo, la tesi sulle colpe delle politiche progressiste sulla droga è in contrasto con i dati empirici: i problemi di dipendenza e overdose di massa sono iniziati nelle aree rurali e conservatrici come West Virginia e Ohio. Eppure lo stato in cui versa San Francisco è sotto gli occhi di tutti ed è innegabile che ci sia in atto qualcosa specifico, una tempesta perfetta che ha a che fare con alcuni aspetti della cultura ultra progressista della California. “Penso che il libertarismo culturale dell’America significhi che non c’è appetito – e in questo sono d’accordo – per l’applicazione di leggi penali contro le persone che usano droghe nella privacy delle proprie case”, conclude Shellenberger. “Ma penso che quando si usano droghe accampandosi pubblicamente, si defeca pubblicamente, si taccheggia pubblicamente, infrangendo le leggi associate alla dipendenza, allora quelle leggi devono essere applicate e che, insieme all’applicazione delle leggi, bisogna offrire alle persone le cure di cui hanno bisogno come alternativa al carcere”.
A commento del libro George F. Will sul Washington Post ha ricordato come nel gennaio del 1967, poco prima della Summer of Love, quasi 30 mila persone si riunirono al Golden Gate Park per prendere droghe e sperimentare il nirvana. Sul palco, il poeta beat Allen Ginsberg a un certo punto chiese a un amico: “E se ci stessimo sbagliando?”. Cinquantaquattro anni dopo il dibattito è tutto intorno a quel “se”.
la sconfitta del dittatore