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Lezioni elettorali

I trumpiani trovano  la formula per vincere stati senza Trump

Daniele Raineri

Glenn Youngkin frega i democratici su genitori e “libri vietati” a scuola e si prende la Virginia, senza eccessi. Strateghi politici felici 

Il candidato repubblicano Glenn Youngkin ha vinto ieri le elezioni per la carica di governatore della Virginia con tre punti di distacco sul candidato democratico – in uno stato dove appena un anno fa Joe Biden aveva superato Donald Trump di dieci punti. Per i democratici è un segnale d’allarme nero perché l’anno prossimo ci sono le elezioni di metà mandato del 2022 e il consenso dell’anno scorso sembra evaporato. Per i nuovi politici repubblicani è la prova che hanno trovato la ricetta per vincere anche senza la presenza di Trump ma con le idee di Trump. In questo Youngkin, uomo d’affari di 54 anni, è stato abilissimo ed è molto probabile che la sua campagna in Virginia farà da modello ad altri candidati del fronte conservatore per il futuro. Aveva argomenti trumpiani ma senza il grottesco di Trump. Si teneva su posizioni trumpiane ma senza l’eccesso di personalità dell’ex presidente, che faceva sembrare ogni cosa una discussione permanente (e logorante) su una singola persona – Trump – al centro dell’universo. L’elettore medio della Virginia, che non casca nelle bizzarrie in stile QAnon e tutto sommato vuole sapere cosa succederà all’economia e ad altre questioni pratiche, osservava in attesa di decidere. E alla fine ha scelto di votare repubblicano.

E’ la fine dell’analisi che ci ha accompagnato per gli ultimi quattro anni, quella che vorrebbe l’elettorato americano spaccato in due blocchi formati da persone che non passeranno mai all’altro schieramento.

Youngkin ha accettato con entusiasmo l’endorsement pubblico dell’ex presidente, ma non lo ha mai invitato a partecipare alla sua campagna e così ha indebolito l’argomento principale del suo avversario, Terry McAuliffe, che in sintesi era: guardate che votare Youngkin è come votare per Trump. Ma soprattutto ha fatto un lavoro eccellente di framing, vale a dire che ha scelto lui come confezionare le dispute in campagna elettorale. Durante la campagna si è parlato molto di istruzione e una delle questioni più discusse è stata: chi decide cosa devono leggere gli studenti? I democratici avevano un’idea aperta: la politica non deve interferire con i programmi scolastici, che vanno lasciati agli insegnanti. I repubblicani avevano un’idea più chiusa: gli studenti non devono entrare in contatto con certi libri. Un caso di otto anni fa, una madre che non voleva che il figlio leggesse a scuola “Beloved”, il romanzo di Toni Morrison sulla schiavitù, e si era appellata ai repubblicani, è tornato a essere attuale. Youngkin ha girato l’argomento in questo modo: i genitori hanno il diritto di mettere bocca su quello che leggono i figli sì oppure no? L’avversario democratico durante un dibattito a metà settembre aveva detto: “Non lascerò che i genitori entrino nelle scuole e prendano i libri per fare le loro decisioni, non penso che i genitori dovrebbero dire alle scuole cosa insegnare” e Youngkin non si è lasciato sfuggire l’assist involontario. Il tema “i repubblicani vogliono censurare i libri nelle scuole” è diventato “i democratici vogliono decidere cosa leggono i vostri figli”. Il New York Times e il Washington Post, i due grandi quotidiani americani che in questi anni avevano entrambi posizioni molto critiche contro Trump, ieri avevano parole di elogio costernato per Youngkin. Uno che sa “reimpacchettare le politiche di Trump” senza tutti i problemi dell’ex presidente. 

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)