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Invasati australiani vs la Cnn

Giuseppe De Filippi

“Il dibattito no”, dice la Cnn e si ritira dall’Australia. Per la precisione chiude i suoi account social australiani, perché la massima autorità giuridica del paese voleva inchiodare la rete televisiva mondiale alla responsabilità per le stramberie, le follie violente, le minacce ossessive contenute nei commenti sottostanti alla pubblicazione online di servizi, corrispondenze, reportage. A dire “no” al dibattito, insomma, non è, come nel noto precedente, uno dei dibattenti; stavolta è chi detiene i diritti sul contenuto a stopparlo.

 

La scelta della Cnn, condivisibile, ci dice che sulle piattaforme internettiane raramente avvengono confronti di idee secondo criteri illuministici e utopistici da cui dovrebbe derivare l’affermazione dell’analisi più efficace, più chiara, meno vincolata a premesse dogmatiche. Invece, nella grande maggioranza delle volte, si assiste a penosi scontri tra fissazioni o anche allo sfruttamento di emittenti forti e riconosciute, come la Cnn, per diffondere visioni ossessive, teorie cospirative, aggressività e violenza. E si può credere che a mettere in fuga dai social locali il grande network di news non sia tanto la minaccia legale del criterio di responsabilità indiretta indicato dall’Alta corte australiana per ciò che viene scritto come commento alla sua pagina Facebook.

 

È qualcosa di precedente e più importante di qualche danno in tribunale. Si tratta del pieno controllo sull’unico prodotto su cui un editore può contare e cioè i suoi contenuti editoriali, la sua produzione, se possiamo essere un po’ enfatici, di visioni del mondo. Mettere tutto ciò alla mercé di invasati e sabotatori del pensiero non ha senso. E, forse, il caso australiano, acceso da una pronuncia molto discutibile dell’Alta corte, potrebbe debordare anche altrove, ovunque si ritenga di avviare un dibattito (questa volta meritevole) sul valore del lavoro editoriale.

 

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