Le aziende cercano rimedi ai No vax. Le differenze tra America e Ue

Micol Flammini

Anche per i privati chi non si vaccina è un problema da risolvere. Gli esempi di Germania e Spagna

La questione di come trattare i propri dipendenti non ancora vaccinati, No vax convinti e Boh vax da convincere,  dopo essere entrata nel mondo del lavoro americano,  si sta presentando anche nel dibattito delle aziende private europee, che, per il momento, aspettano le mosse dei  governi per capire se, tra normative della privacy e protocolli sanitari, esiste un modo per rendere il posto di lavoro più sicuro, senza trascinarsi dietro questioni etiche e legali. La Germania questo dibattito lo ha iniziato da tempo, temendo che lo scetticismo sui vaccini potesse frenare la lotta alla pandemia. La catena di supermercati Edeka, in alcune sedi, ha cercato di incoraggiare la vaccinazione dei dipendenti offrendo buoni spesa da 60 euro  ma,  a meno che non sia proprio la legge tedesca a richiedere la vaccinazione obbligatoria, le aziende non possono creare “lavoratori di prima e seconda classe”. 

 

Il dibattito legale che si è scatenato in Germania  ha spinto i privati a prendere in considerazione altre opzioni, come quella di dare una mano nelle vaccinazioni. In questo le aziende tedesche si sono mosse in fretta. Già a marzo, quando la campagna di vaccinazione in Germania procedeva a rilento, nonostante la minuziosa preparazione dei centri di vaccinazione, Bayer, Bmw, Volkswagen, Vonovia, Rwe, Deutsche Wohnen e altre si stavano già attrezzando. Le aziende hanno acquistato dei frigoriferi per conservare le dosi e hanno messo a disposizione i propri spazi e i propri medici del lavoro. L’amministratore delegato della Volkswagen, Herbert Diess, la scorsa settimana ha scritto su Twitter che l’azienda ha già vaccinato sessantamila persone e che l’obiettivo è di creare dei centri di vaccinazione nelle principali sedi in giro per il mondo. Il capo della società immobiliare Vonovia, Rolf Buch, ha detto all’Economist che se i suoi dipendenti dovessero rifiutare la vaccinazione, offerta dall’azienda a loro e alle famiglie, potrebbero essere prese in considerazione misure di precauzione: chi si rifiuta potrebbe essere escluso da attività di gruppo, come le feste in ufficio. 

 

In Spagna è stata la politica a mettersi nelle mani delle aziende private e nella regione di Madrid, la presidente Isabel Díaz Ayuso ha annunciato che le società Acciona, El Corte Inglés e il gruppo  Santander inizieranno a vaccinare i loro dipendenti e poi anche il resto della popolazione. La speranza è che le tre società riescano a vaccinare tra le 25 mila e le 30 mila persone. Le aziende private hanno già dato un grande impulso all’immunizzazione in altre zone come in  Catalogna e a Valencia. A breve seguirà anche l’Andalusia, ma sull’obbligatorietà le aziende europee sono ancora molto lontane dalla possibilità di seguire la strada di quelle americane. 

 

Negli Stati Uniti infatti i privati stanno cambiando i loro protocolli sanitari a causa della diffusione  della variante Delta  e soprattutto all’ondata di scetticismo nei confronti dei farmaci contro il coronavirus. C’è chi tenta la strada della persuasione e chi dell’obbligatorietà per contrastare questa “pandemia dei non vaccinati”. Per il presidente americano, Joe Biden,  i lavoratori federali dovrebbero o farsi vaccinare o, se si rifiutano,  dovrebbero sottoporsi a tamponi regolari e altre restrizioni. Le aziende stanno seguendo la linea tracciata dal capo della Casa Bianca. 

 

Le prime aziende a proporre incentivi per i dipendenti per farsi vaccinare erano state le catene Aldi e Lidl, entrambe tedesche, ma che non avevano osato  proporre  bonus  in Germania per paura di cause o controversie. In America, dove gli incentivi non bastano più, inizia a essere lunga la lista di compagnie che hanno chiesto ai dipendenti di vaccinarsi o posticipato il rientro al lavoro. Lo hanno già fatto Google, Netflix e Facebook, l’alternativa è la mascherina per tutti, che sta tornando un po’ ovunque, con l’effetto di far arrabbiare molto chi il vaccino lo ha già fatto. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.